Il nodo politico: quale futuro per Hamas? Il punto più sensibile e divisivo del negoziato riguarda il destino politico e militare di Hamas. L’organizzazione palestinese chiede che la tregua, inizialmente prevista per 60 giorni, possa essere estesa per giungere a un cessate il fuoco duraturo. Israele, tuttavia, considera inaccettabile qualsiasi scenario che consenta a Hamas di sopravvivere come attore politico o militare nella Striscia di Gaza.

Il premier Benjamin Netanyahu ha ribadito che non esiste, al momento, disponibilità ad avviare una trattativa su un'uscita politica dal conflitto, e che l’obiettivo finale resta la completa eliminazione di Hamas. Secondo l’interpretazione israeliana, qualsiasi discussione sul futuro della governance di Gaza potrà avvenire solo una volta che Hamas sarà annientata. In questo contesto, Netanyahu si presenta come il leader che ha indebolito Hezbollah e limitato l’influenza dell’Iran, e non è intenzionato a fare concessioni che potrebbero rimettere in gioco Hamas.

Il controllo degli aiuti umanitari: ONU o Israele?

Un altro punto di frizione cruciale riguarda la gestione degli aiuti umanitari, da mesi scarsi e oggetto di gravi polemiche internazionali. Israele intende mantenere il controllo delle forniture attraverso la controversa Gaza Humanitarian Foundation, una struttura legata a interessi americano-israeliani che è stata accusata di gravi violazioni, inclusi oltre 600 morti palestinesi durante le distribuzioni, secondo alcune stime.

Hamas, al contrario, chiede il ritorno delle Nazioni Unite come unica entità incaricata di gestire gli aiuti, come accadeva fino a pochi mesi fa. La richiesta non è solo logistica ma anche politica, poiché una gestione ONU escluderebbe Israele e i suoi alleati dal controllo diretto su una questione strategica per il consenso interno nella Striscia.

Presenza militare e futuro della Striscia

La terza richiesta di Hamas, forse la più concreta sul piano operativo, riguarda il ritiro totale delle truppe israeliane dalla Striscia di Gaza. Dall’altra parte, Tel Aviv ha confermato di mantenere il controllo diretto su almeno il 65% del territorio gazawi e non sembra intenzionata ad abbandonarlo nel breve periodo.

Un compromesso potrebbe consistere nel ritorno alle posizioni precedenti la fine della tregua di febbraio, interrotta unilateralmente da Israele nel mese di marzo. Tuttavia, non esiste attualmente un piano condiviso su come governare Gaza nel dopoguerra. Netanyahu starebbe valutando un’alleanza con alcune tribù locali ostili sia ad Hamas sia all’Autorità Palestinese in Cisgiordania. Intanto, all’orizzonte riemergono anche le spinte più radicali della destra israeliana, che vorrebbe ricostruire le colonie smantellate nel 2005 per decisione dell’allora premier Ariel Sharon.