Declina le sue generalità, legge la formula ma, prima di rispondere, si lascia andare ad un gesto che spiazza tutti. Si volta un po' a sinistra e dice: “Saluto caramente Benito, parrocchiano dedito alle celebrazioni, semplice, leale e affettuoso”. Benito Miarelli, 58 anni, di Pannarano, ascolta dalla cella della 'Falcone -Borsellino' nella quale è fino a quel momento rimasto a testa bassa. A rivolgergli quelle parole è don Michele, parroco di Pannarano, uno dei cinque testi escussi nel processo a suo carico per l'omicidio del fratello Annibale, 70 anni, compiuto il 3 luglio 2024.
“E' stato prima strangolato e poi decapitato mentre era a letto”, spiega il medico legale Emilio D'Oro che aveva curato il sopralluogo, l'esame esterno e l'autopsia. “E' morto per una insufficienza respiratoria da asfissia acuta”, aggiunge. Precisando che i “15 – 20 colpi erano stati inferti con un'accetta successivamente allo strangolamento”. Il pm Marilia Capitanio e l'avvocato Nicola Covino, per l'imputato, si alternano nelle domande. La difesa, in particolare, insiste per sapere se Benito avesse avuto “comportamenti aggressivi e bizzarri, se si sentisse perseguitato ed avesse forme di delirio, se fosse stato visto parlare da solo e con un cane, o discutere si sistemi solari”.
Lo chiede a don Michele, a don Gervasio, ex parroco di San Nicola Manfredi, originario di Pannarano, ad Angelo e Cataldo, rispettivamente figlio e fratello della vittima. Don Michele: “Aveva problemi di alcolismo, era in cura, ma non è mai stato violento”. Don Gervasio è sulla stessa linea: “Sono andato più volte da loro, abbiamo pranzato insieme, Benito qualche volta mi chiedeva un pizzico di Strega. Ma non ha mai dimostrato di avere illuminazioni o visioni, in un paio di occasioni aveva pronunciato frasi confuse, ma nulla più”.
Per Angelo non può essere semplice il racconto del dramma. Ricorda che il genitore era tornato a Pannarano, da Roma, da un anno e mezzo. “Sapevo che l'imputato faceva abuso di alcol e birra, ma al massimo alzava la voce se veniva contraddetto nelle sue convinzioni, che ripeteva, diventando logorroico”.
Cataldo, fratello di Annibale e Benito, torna alle 2030 di quel 3 luglio, quando aveva ricevuto una telefonata da Benito: “Era agitato, farfugliava, mi disse che Annibale è in cielo, che dovevo ricordarmi del quadro di Sant'Antonio: un vecchio quadro che aveva appeso in camera e al quale attribuiva un valore economico del tutto spropositato”.
Il racconto, comprensibilmente sofferto, prosegue: “Chiamai immediatamente Annibale sul cellulare, era al bar, mi tranquillizzò dicendomi che Benito aveva bevuto”. Quella telefonata – aggiunge -”è un tormento, in quel momento non ho capito ciò che stava per succedere. E ancora oggi non mi spiego il suo comportamento, era fuori di sé, ma non so perchè. Benito non ha ucciso solo Annibale, ma tutti noi”, conclude.
Manca poco a mezzogiorno, l'udienza termina: mentre viene accompagnato dalla polizia penitenziaria, Benito accenna un saluto alzando il braccio sinistro coperto da un giubbino che nasconde le manette. Nessuno lo nota, nessuno ricambia.
Si torna in aula il 30 settembre, quando deporrà il dottore Alfonso Tramontano che, come consulente del Pm, ha definito Miarelli capace di intendere e volere al momento del fatto. Solo successivamente la Corte di assise (presidente Rotili,a latere Monaco più i giudici popolari) deciderà se disporre la perizia psichiatrica sollecitata dalla difesa.