"Io non so se "La classe operai va in paradiso", come raccontava nel 1971 Elio Petri nel film con Gian Maria Volontè nella parte dell’operaio Lulù. Nè se un operaio, vittima di un incidente sul lavoro, si sia meritato, almeno nell’aldilà, un posto in paradiso.

La morte di tre operai avvenuta a Napoli il 25 luglio, un venerdì di primo esodo per tanti lavoratori, ha risvegliato l’attenzione dei media, della politica, delle istituzioni e della società civile. Eppure ogni giorno muoiono 3, 4, a volte anche di più, lavoratori al giorno. Quasi sempre in edilizia, trasporti e agricoltura".

Lo scrive in una nota Vincenzo Maio segretario generale Fillea Cgil Campania.

"Dal 7 al 25 luglio 10 morti in Campania, di cui 2 sessantasettenni, un settantanovenne. Il più giovane, di questi dieci morti sul lavoro, un trentanovenne padre di cinque figli.

È giusto lo sconforto, è giusto il dolore, è giustificata persino la rabbia di tutti quanti noi. Ma poi? Poi, ogni livello di responsabilità inizia con i distinguo. Mancano i controlli. Il personale è insufficiente. Non abbiamo le risorse necessarie. Quell’operaio non doveva stare lì. È un problema di formazione e di cultura.

Inizia la concitazione delle riunioni, dei tavoli istituzioni, degli impegni: mai più bisogna morire per lavorare Parole. Si parole che non scalfiscono minimamente le persone superstiti di quei poveracci morti per pochi euro al giorno. Per loro inizia un calvario che durerà tutta la vita e ogni volta che un altro lavoratore muore sul lavoro, per loro sarà come un rimettere indietro le lancette del tempo.

Se metti una macchina in mano a chi non sa guidare, è inevitabile che crei le condizioni per causare incidenti, se va bene, se va male causa morti.

Punto uno: se in edilizia, un lavoratore per diventare operaio qualificato deve fare cinque anni di apprendistato, non è possibile che si diventi imprenditori edile con una semplice iscrizioni in camera di commercio. Va fatta una ferma selezione a monte.

Punto due: in caso di incidente mortale, l’azienda deve essere iscritta in una black list, da attenzionare e riabilitare solo dopo un’attenta procedura, compreso l’esito del processo e il risarcimento ai superstiti, altro che patente a punti varato dal Governo attuale. Una vita di un lavoratore non può valere 20 punti, casomai acquistati presso enti di formazione “farlocchi”.

Punto tre: le prefetture devono farsi parte attiva e responsabile con un’azione che vada oltre le ordinarie convocazione dei tavoli di monitoraggio, mettendo in campo un’azione coordinata coinvolgendo in maniera attiva non passiva le parti sociali. Noi siamo sui cantieri tutti i giorni, visitiamo centinaia di cantieri quotidianamente e le tante segnalazioni di violazioni di norme e leggi raramente trovano riscontro nell’azione degli enti preposi.

Punto quattro: la procura deve scendere in campo con un settore specifico. Le vittime sul lavoro devono trovare spazio in un’azione specifica ed esclusiva delle procure. Lo stato ha combattuto i grandi fenomeni eversivi e malavitosi con azione straordinarie e speciali, le morti sul lavoro hanno il diritto di essere tutelati in eguale maniera.