La Corte di Giustizia Ue ha stabilito che l’Italia non potrà utilizzare procedure accelerate di frontiera per inviare migranti in Albania. La Corte precisa che la designazione di un Paese terzo come «Paese di origine sicuro» è possibile anche tramite atto legislativo. Tuttavia, tale atto deve essere suscettibile di un controllo giudiziario effettivo, con accesso alle fonti documentali su cui si basa la decisione, sia per il richiedente sia per il giudice nazionale. Inoltre, un Paese non può essere ritenuto «sicuro» se alcune sue categorie di popolazione non godono di una protezione sufficiente.
Il caso del Bangladesh e l’esperienza italiana
In Italia il Bangladesh è stato inserito tra i Paesi di origine sicuri da un decreto legislativo del 2024. Due cittadini bengalesi soccorsi in mare e trattenuti in centri in Albania hanno visto respingere le loro domande di protezione tramite procedura accelerata, sulla base di quella designazione. Dopo impugnazioni, il Tribunale di Roma ha chiesto chiarimenti alla Corte Ue, sollevando dubbi sulla trasparenza delle fonti utilizzate per giustificare la sicurezza del Paese.
Esiti e impatto sui centri CPR in Albania
La sentenza rende legittima l’attività dei giudici italiani che hanno disposto il rientro dei migranti dall’Albania applicando le proprie verifiche, dichiarando nullo il trattenimento offshore perché basato su una lista nazionale di Paesi sicuri incompatibile con la normativa Ue.
Il progetto italiano – prevede centri a Shengjin e Gjader destinati a richiedenti asilo provenienti da Paesi «sicuri» – è stato così messo in forte crisi: le strutture restano vuote e giudicate giuridicamente fragili.
Il futuro tra legge europea e riforme nazionali
La Corte conferma che fino al 12 giugno 2026 – data in cui entrerà in vigore il nuovo Regolamento procedurale sull’asilo che permetterà eccezioni per categorie chiaramente identificate – l’Italia non potrà designare come sicuri Paesi che non rispettano i criteri sostanziali per tutta la popolazione.
Tuttavia, il legislatore europeo può in via anticipata modificare l’applicabilità del nuovo regolamento, come già valutato in sede Ue e nazionale.
Conseguenze politiche e giuridiche per l’Italia
La sentenza rappresenta un duro colpo alla strategia del governo Meloni di esternalizzare il trattamento dei migranti in centri in Albania per accelerare i rimpatri. Le decisioni della Corte rafforzano l’orientamento dei giudici nazionali: la designazione di un Paese sicuro non può essere unilaterale e impugnabile. Già in precedenza, diverse sentenze italiane avevano ordinato il ritorno in Italia dei migranti trattenuti in Albania, ritenendo illegittime le procedure accelerate e i CPR basati sul protocollo.