L'avvocato Gigino Trillo era sbandato nel sonno. Una luce? Una visione? No, un incarico. E una puzza. Ma “Olet aut non olet”, ora era sveglio. Piccioso. Risoluto. Doveva separare le mele buone da quelle cattive. Fare una lista. E poi colpire, secondo legge: “Olet aut non olet”.
Molti, in città, s'erano rintanati. Avevano cerchiato sui calendari la data delle prossime amministrative perché era quella del giudizio, del suffragio universale. Dell'eletto che sarebbe tornato a fare grande la città. A puntare l'indice della mano destra verso un orizzonte alto. Ampio. Lontano ma possibile. Mentre con l'altra mano, e usando il medio, infilava preciso l'angolo buio dell'urologo curioso. Zella dopo zella, riempiva ogni fosso, ogni buca. Pure quelle di via Guido Dorso, la strada martire, sfuggita alla cura del 3% per ogni dieci metri di asfalto assegnato, di marciapiede da rifare.
Antiche regole.
Ogni “guerriero” le tramandava di appalto in appalto. I vecchi assessori? Muti come i pilastri del primo piano. La coscienza? Sparita con le carte dei condoni, faldone dopo faldone. Una differenziata al 100%, sperimentata con imbarazzanti computer. Le Regionali sarebbero state le prove generali del ritorno. L'Ulisse naufragato nelle cartuscelle nautiche di un concorso avrebbe rimesso piede a Itaca, annunciato da manifesti 6X3 con la minaccia a caratteri cubitali: «Ricominciamo». Avrebbe abbattuto tutti i Proci allevati dal Pd, famelici al capezzale del suo regno.
Penelope s'era ammutolita come i pilastri dell'archivio. Una statua di sale. Nessuno più la cercava. Come un'asimmetria del tempo, i venti paggi che si prostravano all'arrivo, s'erano persi in cerca di nuovi margini, di amichevoli ambiti. Lei continuava a registrare reel per Instagram e Facebook, perché poi poteva darsi un like e sciogliere un po' di sale usando tenere lacrime.