Il paradosso russo. Definire “nazisti” i governi europei che sostengono l’Ucraina è un esercizio di propaganda talmente distorto da rasentare la farsa, se non fosse tragico. È la Russia di Putin – quella che bombarda città, deporta civili, cancella identità – a pronunciare queste accuse. Lo fa attraverso voci come quella di Dmitrij Medvedev, ex presidente divenuto megafono dell’odio di Stato, oggi impegnato a rovesciare sul nemico l’immagine del proprio operato.
L’odio come strumento politico
Il Cremlino sa che la paura e il disprezzo sono armi potenti. Per questo affida a figure aggressive, talvolta quasi caricaturali, il compito di diffondere messaggi che nessun leader “istituzionale” potrebbe pronunciare senza compromettere la propria immagine diplomatica. È il volto più truce della Russia: una maschera che serve a intimidire, disorientare e consolidare il consenso interno.
Il vuoto strategico di Trump
Sul fronte opposto, il presidente americano Donald Trump si muove come un giocatore senza regole, oscillando tra dichiarazioni provocatorie e silenzi imbarazzanti. L’idea – trapelata – di portare Volodymyr Zelensky in Alaska per un vertice con Putin ha già fatto storcere il naso a mezzo mondo, e il fatto che l’Ucraina non sia stata neppure formalmente invitata al summit del 15 agosto rivela la fragilità di questa strategia.
Kiev e l’Europa: dignità e fermezza
Zelensky ha risposto con parole nette: “Non regaleremo la nostra terra all’occupante”. L’Unione Europea, insieme a Regno Unito e Stati Uniti, continua a chiedere che qualsiasi trattativa parta da un cessate il fuoco e dalla reciprocità in ogni eventuale scambio territoriale. Ma è evidente che, mentre si discute, la Russia consolida le proprie posizioni militari sul campo.
Il rischio del cinismo
Il conflitto rischia di trasformarsi in un esercizio di cinismo diplomatico, dove l’Ucraina diventa merce di scambio tra grandi potenze in cerca di vantaggi geopolitici. È un gioco pericoloso, in cui le parole – “nazista”, “pace”, “negoziato” – perdono significato e vengono svuotate a colpi di propaganda. In mezzo, restano le città bombardate, i profughi, e un popolo che continua a pagare il prezzo delle ambizioni altrui.