La lettera del Vescovo Aiello, in occasione della festa dell’Assunta, fotografa una città ferita e ammutolita. È un’immagine potente: Avellino come una malata grave, avvolta in un silenzio inquieto. Ma se è vero che il male va chiamato per nome, allora bisogna dire chiaramente che questa malattia non è un virus improvviso. È una degenerazione lenta, che affonda le radici in anni di omissioni, complicità e convenienze reciproche.
Per troppo tempo si è preferito abbellire la cornice piuttosto che restaurare il quadro. Si è scelto di applaudire inaugurazioni inutili e passerelle elettorali mentre, nelle retrovie, si consumavano piccoli e grandi imbrogli. Quelle stesse trame, accettate e spesso legittimate, hanno permesso a una classe politica di infimo livello di restare inchiodata alle poltrone, garantita proprio da quel silenzio che oggi fingiamo di scoprire.
Oggi, come dopo il terremoto del 1980, c’è bisogno di ricostruire. Ma il cemento non basterà: servono nervi saldi e mani pulite. Ma non sono macerie di cemento — quelle, purtroppo, le abbiamo continuate ad accumulare a colpi di colate che hanno aggredito ogni spazio verde — bensì macerie politiche, morali e culturali. La differenza è che nel 1980 la città seppe ritrovare energie, dignità e capacità di organizzarsi. Oggi, invece, dobbiamo fare i conti con un handicap enorme: la scena è occupata da epigoni politici senza visione, senza coraggio e senza reale legittimazione popolare.La differenza è che quarantacinque anni fa la città seppe reagire, trovando energie e figure capaci di guidare la rinascita..
Non possiamo aspettare un miracolo, né credere che la salvezza arriverà da processioni e buone intenzioni. La speranza che serve è laica: fatta di partecipazione vera, di scelte dure e di tagli chirurgici al sistema che ci ha ridotti così.
Perché Avellino non si salverà finché continuerà a chiedere carezze a chi per anni l’ha tradita. E la vera festa dell’Assunta, quella che ricorderemo, sarà il giorno in cui la città smetterà di farsi incantare dalle cornici e deciderà, finalmente, di dipingere un quadro nuovo.