Avellino

Lei sta lì, alta e schietta, gigante non più giovinetta come uno dei cipressi di Carducci. Brandeggia libera e solitaria. Un'anima in pena su un cantiere apparentemente morto, in un quartiere, Valle, che di suo sconta l'essere periferia stanca di una città che non riesce a tenere il passo. È l'enorme gru che, da sedici anni, è stata posta al servizio della realizzazione di una torre che si è alzata per tredici piani e poi s'è fermata. Chi, perché, ma come mai, qui interessa nulla. Sono gli inceppi di un'urbanistica lasciata al caso, passata dai sogni di sviluppo segnati da Cagnardi alla dura realtà di un capoluogo che non cresce e quando lo fa cresce malissimo, lasciando al cemento l'incarico di rendere tutto più brutto, incoerente. C'è la rotonda di via Raffaele Aversa che ferma una traversa nel vicolo cieco di quel cantiere, grande abbastanza da interessare anche la prospiciente via Umberto Nobile.

Sedici anni, dicevamo. Pensate, quel cantiere è stato avviato che sindaco della città era Giuseppe Galasso. S'è fermato, per circostanze che qui non contano, intorno al 2014 quando (ahinoi) era sindaco Foti. Poi, giusto per ricordarlo, ci sono stati altri tre sindaci ed altrettanti commissari prefettizi, che Avellino non si fa mai mancare tra un'amministrazione e l'altra. Se una gru rimane abbandonata in un cantiere fermo da anni, il rischio non è solo burocratico o formale: diventa un pericolo reale, costante e crescente.

La gru, per sua natura, è progettata per stare in equilibrio grazie a calcoli statici e dinamici molto precisi. Se il cantiere è sospeso, nessuno esegue i controlli obbligatori: non si verificano le funi, non si lubrificano i meccanismi, non si prova la tenuta dei freni, non si monitorano le fondazioni. Col tempo, la corrosione e la fatica dei materiali minano la stabilità. Un bullone allentato, una fune arrugginita, un giunto logoro possono diventare la scintilla di un collasso.

Il pericolo più evidente è il crollo strutturale: può cedere il braccio, può rompersi il sistema di rotazione, può cedere la base di appoggio. In una zona urbana, significherebbe far precipitare tonnellate di ferro su case, auto, persone. Anche senza un crollo totale, un pezzo che si stacca — una carrucola, una staffa, un contrappeso — può essere letale.

C’è poi il rischio legato agli agenti atmosferici. Una gru alta decine di metri diventa vela al vento: se i dispositivi che consentono la rotazione libera del braccio sono bloccati dalla ruggine, il vento forte può spezzare la struttura come un albero secco. Temporali e fulmini, senza manutenzione dei parafulmini e delle messe a terra, trasformano la gru in un attrattore pericoloso di scariche elettriche.

Infine, c’è l’aspetto della responsabilità legale: il cantiere sospeso non è terra di nessuno. La gru ha sempre un proprietario o un custode giuridico. Se il braccio cade su una strada, la responsabilità ricade sul titolare della concessione edilizia o sul proprietario del terreno e dell’opera, che risponde civilmente e penalmente per non aver rimosso un pericolo evidente. In poche parole: una gru abbandonata è un ordigno silenzioso. Non fa rumore, ma ogni giorno che passa aumenta la probabilità che qualcosa si stacchi, che il vento la pieghi, che un incidente accada. Tenerla lì, senza manutenzione e senza sorveglianza, è non solo vietato, ma irresponsabile. Gli strumenti di legge sono chiari. Il sindaco, quale autorità locale di protezione civile e pubblica sicurezza (art. 50 e 54 TUEL, D.Lgs. 267/2000), ha il dovere di intervenire. Lo fa attraverso ordinanze contingibili e urgenti, intimando al proprietario del cantiere o della gru la rimozione, la messa in sicurezza o la manutenzione immediata.

Se il privato non interviene, il Comune ha il potere di procedere d’ufficio, incaricando ditte specializzate alla rimozione e addebitando poi i costi ai responsabili (art. 192 D.Lgs. 267/2000). Qui la logica è semplice: la sicurezza collettiva viene prima degli interessi del singolo. Accanto al potere sindacale, c’è la disciplina urbanistica ed edilizia: l’ufficio tecnico può dichiarare il cantiere in stato di abbandono e intimare al titolare del permesso edilizio di ripristinare le condizioni di sicurezza. In caso di inottemperanza, oltre alla rimozione forzata, scattano le responsabilità penali per omissione dolosa o colposa di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina (art. 677 c.p.). Il Comune, inoltre, ha un dovere di vigilanza costante: polizia municipale e ufficio edilizia privata devono monitorare lo stato delle gru e delle aree di cantiere inattive, segnalando tempestivamente i pericoli. Non serve attendere l’incidente: l’inerzia dell’ente può diventare essa stessa fonte di responsabilità. Prefetto Perrotta adesso lei lo sa. Che fa, lascia o... raddoppia?