Benevento

La rettitudine, l'impegno, il sacrificio. L'esempio di una storia che non deve essere dimenticata e deve servire da monito.
Benevento ha ricordato Vito Ievolella.
Per il carabiniere beneventano, ucciso dalla mafia a Palermo il 10 settembre 1981, un'intensa cerimonia promossa dal coordinamento provinciale sannita di Libera in collaborazione con l’Arma dei Carabinieri.
Doppio momento per l'appuntamento che ha previsto, dopo una messa alla Madonna delle Grazie, la deposizione di un omaggio floreale alla targa della strada che porta il suo nome.
Presente alla cerimonia una rappresentanza dell'Arma dei Carabinieri guidata dal comandante della Compagnia di Benevento, il capitano Emanuele Grio. A benedire il momento il Cappellano dell'Arma don Salvatore Varavallo.
Presenti anche numerosi rappresentanti delle associazioni e la Cgil di Benevento.

Martino: Vito Ievolella, un esempio, un uomo che ha servito la collettività

“Ricordiamo un nostro conterraneo che ha donato la sua vita per sconfiggere la mafia. Vito Ievolella era un carabiniere, era un uomo d'onore, che ha servito la collettività” ha ribadito Michele Martino del coordinamento di Libera Benevento. “La sua storia ci ricorda le complicità esterne. Fu ucciso perché dall'ospedale da cui stava per essere dimesso partì una telefonata che diede il via libera alla mafia. Era un bravissimo investigatore e aveva capito che bisognava seguire il denaro per sconfiggere la mafia trovando i grossi intrecci tra mafia, politica, massonerie deviate, corruzione, malaffare che, purtroppo, a distanza di 44 anni caratterizzano ancora il cancro del nostro paese”.

L'allarme: la corruzione ha cambiato volto, attenti al clientelismo

E poi il monito a tenere alta l'attenzione “Oggi la corruzione e le mafia hanno cambiato volto, non inducono più terrore con le pistole. Sul nostro territorio dobbiamo stare molto attenti perché non solo la criminalità è organizzata e ramificata ma esiste una grande cultura di clientelismo dove i diritti vengono fatti passare come favori. Anche quella cultura ha reso forte le mafie”.