La questione palestinese si riassume in un paradosso che attraversa decenni di storia: un solo popolo, ma due governi contrapposti; l’aspirazione a uno Stato, ma il controllo frammentato di territori, poteri e identità. Gaza e Cisgiordania non sono solo luoghi geografici, ma simboli di due percorsi politici divergenti nati dalle ceneri del Mandato britannico, dagli accordi di Oslo e dalla guerra civile interna tra Fatah e Hamas. Oggi, parlare di “Stato palestinese” significa soprattutto chiedersi: in mano a chi?

Dall’amministrazione britannica al nodo di Oslo

Il punto di partenza è il Mandato britannico sulla Palestina, istituito tra il 1920 e il 1948 sulle rovine dell’Impero Ottomano. Londra amministrava quei territori con una promessa ambigua: da un lato il sostegno alla creazione di un “focolare nazionale ebraico”, espresso nella Dichiarazione Balfour del 1917, dall’altro l’impegno a non ledere i diritti delle popolazioni arabe già insediate. Con la nascita di Israele nel 1948, la prima guerra arabo-israeliana ridisegnò la mappa: la Cisgiordania fu annessa alla Giordania, mentre la Striscia di Gaza passò sotto amministrazione egiziana. Già allora si consumava la separazione fra le due anime del futuro Stato palestinese. Nel 1967, la Guerra dei Sei Giorni portò entrambi i territori sotto occupazione israeliana. Solo nel 1993, con gli Accordi di Oslo firmati da Yitzhak Rabin, Yasser Arafat e con la mediazione di Bill Clinton, nacque l’Autorità Nazionale Palestinese, concepita come autogoverno transitorio verso uno Stato indipendente. 

Le aree A, B e C: una sovranità incompiuta

Gli accordi di Oslo stabilirono che la Cisgiordania venisse suddivisa in tre aree, con diversi livelli di controllo palestinese e israeliano. Quella che doveva essere una soluzione provvisoria, funzionale al dialogo, è diventata una divisione permanente che ha congelato la sovranità palestinese, limitandola soprattutto in materia di sicurezza e pianificazione del territorio. La Striscia di Gaza, inizialmente amministrata dall’Egitto e poi occupata da Israele, conobbe anch’essa l’esperimento dell’Autorità Palestinese dopo Oslo. Tuttavia, la svolta arrivò con le elezioni legislative del 2006, quando Hamas ottenne una vittoria clamorosa che minò il predominio di Fatah. Lo scontro tra le due fazioni si trasformò presto in guerra civile: nel 2007 Hamas prese con la forza il controllo di Gaza, cacciando Fatah e instaurando un governo parallelo. Da allora Cisgiordania e Striscia hanno seguito strade diverse: la prima affidata alla leadership di Mahmoud Abbas e alla sua cerchia, la seconda dominata dal movimento islamista, isolato ma radicato nel territorio.

Un voto che manca dal 2006

Il Consiglio Legislativo Palestinese non si rinnova dal 2006. In Cisgiordania Abbas governa per decreto, mentre a Gaza Hamas esercita un potere assoluto che ha resistito a guerre, assedi e tentativi di isolamento. La mancanza di elezioni ha privato la Palestina di una legittimazione democratica e ha reso sempre più profonda la spaccatura tra le due leadership. I cittadini palestinesi, divisi geograficamente e politicamente, vivono così una condizione di sospensione che rende ogni ipotesi di unità ancora più difficile.

Stato palestinese: ma in mano a chi?

Ecco il punto: la Palestina esiste come popolo, ma non come Stato sovrano e unitario. L’ONU l’ha riconosciuta come Stato osservatore nel 2012 e oltre 140 Paesi ne hanno ratificato l’esistenza diplomatica. Tuttavia, sul terreno, la divisione fra Gaza e Cisgiordania rende impossibile individuare un unico governo legittimo. Da una parte Abbas e l’ANP, sostenuti dalla comunità internazionale ma indeboliti dall’assenza di elezioni; dall’altra Hamas, padrone di Gaza e dotato di consenso interno, ma privo di riconoscimento esterno. Così, ogni discorso su uno “Stato palestinese” resta sospeso. La promessa di Oslo, nata per dare un unico Stato a un unico popolo, si è trasformata in un mosaico diviso, dove Gaza e Cisgiordania incarnano due progetti incompatibili. La domanda non è più soltanto se esisterà uno Stato palestinese, ma soprattutto: se mai nascerà, in mano a chi sarà?