Monica Maggioni, dopo anni di incarichi di vertice in Rai – dalla presidenza alla direzione del Tg1 – si è dimessa dal suo ruolo dirigenziale nella Direzione editoriale per l’offerta informativa. Ma non ha lasciato l’azienda: con un contratto da esterna, proseguirà per cinque anni la conduzione e la realizzazione di programmi di approfondimento, continuando di fatto lo stesso lavoro con condizioni economiche più favorevoli. La vicenda appare ancor più problematica se confrontata con la condizione di tanti altri giornalisti Rai. Professionisti competenti, spesso con lunga esperienza, vivono nel limbo dei contratti annuali, rinnovati di volta in volta senza alcuna certezza di stabilità. È qui che si misura la contraddizione: a pochi volti noti vengono garantiti percorsi privilegiati, mentre la base della redazione deve adattarsi a una precarietà cronica che mina motivazione e qualità del lavoro.

Il nodo dei compensi e le vie d’uscita dal tetto

Alla base della scelta c’è anche la questione dei compensi. Il tetto massimo di 240.000 euro fissato per i dirigenti delle aziende pubbliche è stato spesso aggirato tramite contratti esterni. Questa pratica consente di riconoscere stipendi ben più alti a chi, formalmente, non rientra più nei ranghi interni. Un meccanismo che appare poco trasparente e che rischia di trasformare un vincolo pensato per limitare i privilegi in un mero ostacolo da eludere. La Rai, finanziata dal canone e quindi dai cittadini, dovrebbe essere la casa della trasparenza e dell’equità. Ogni contratto che alimenta l’impressione di favoritismi mina la credibilità dell’intero sistema. Se diventa consuetudine garantire percorsi paralleli e compensi maggiorati a figure già affermate, mentre la maggioranza del personale vive nell’incertezza, il servizio pubblico perde autorevolezza e legittimità.

Richieste di chiarezza

Gli esponenti del Movimento 5 Stelle hanno annunciato un’interrogazione in Commissione di Vigilanza per chiarire i contorni dell’accordo. Chiedono che venga resa pubblica la natura del contratto, i criteri che lo giustificano, i costi reali per l’azienda e, soprattutto, che si faccia luce sul divario di trattamento rispetto a decine di colleghi costretti alla precarietà. La richiesta non riguarda solo il caso Maggioni, ma la necessità di regole uguali per tutti. Il caso Maggioni non è una semplice vicenda individuale, ma la cartina di tornasole di come la Rai gestisce il proprio capitale umano. La contraddizione tra i privilegi garantiti a pochi e la precarietà vissuta da molti è diventata insostenibile. Per un’azienda pubblica, il rispetto delle regole comuni, la trasparenza e l’equità non sono opzionali: sono il fondamento stesso della sua credibilità.