L’immunità parlamentare non è un mantello di impunità, né un salvacondotto per sottrarsi alla giustizia. È un presidio fragile ma essenziale della democrazia: serve a garantire che il mandato politico, conferito dal popolo, non venga spezzato da pressioni, vendette o manipolazioni di governi ostili. La vicenda di Ilaria Salis, eletta con Alleanza Verdi e Sinistra e finita nel mirino del regime di Orbán, dovrebbe essere letta in questa chiave.
Eppure, la parola “immunità” continua a evocare nell’opinione pubblica e nella retorica politica un sospetto di privilegio. Perché? Perché in Italia – e non solo – l’immunità è stata spesso usata come scudo personale, come alibi per sfuggire a inchieste e processi. Lo sanno bene i cittadini, che da anni vedono il volto di una politica che chiede libertà per sé e controlli per gli altri. Basti pensare alla ministra Daniela Santanché, che proprio dietro i muri protettivi dell'attività politica e, tra breve, dell’immunità parlamentare sta evitato da lungo tempo che le inchieste della magistratura seguissero il loro corso naturale, restituendo per via giudiziaria la liceità (il presupposto è l'innocenza) delle sue iniziativas imprenditoriali. Un paradosso che mina la credibilità stessa delle istituzioni: quando l’immunità diventa un rifugio di potere, perde la sua funzione originaria di difesa della democrazia.
C’è di più. C’è un vento oscuro che attraversa l’Europa. Un vento che soffia dall’Est, ma che trova complicità ovunque: governi che erodono l’indipendenza della magistratura, parlamenti che piegano le regole a interessi di parte, leader che brandiscono la legge come un manganello e non come uno scudo. Non è solo l’Ungheria di Orbán, non è solo la Polonia di ieri o la Russia di sempre. È un contagio che serpeggia nelle democrazie mature, che smarrisce la certezza del diritto e riduce lo Stato di diritto a un simulacro.
La questione di Salis non riguarda solo una donna processata in condizioni indegne e minacciata da una condanna sproporzionata. Riguarda tutti noi. Riguarda l’Europa che rischia di cedere a una logica di vendetta e repressione, rinnegando i suoi stessi trattati, i suoi valori fondanti, la sua storia. Riguarda la consapevolezza che ogni immunità democratica, ogni diritto costituzionale, ogni libertà civile è un baluardo che può cadere se non viene difeso con forza.
Ilaria Salis, oggi, è un simbolo di questa fragilità. Non è questione di essere d’accordo o meno con le sue idee politiche, con la sua militanza, con il suo percorso. È questione di riconoscere che se un Parlamento non è più libero, se un deputato eletto dal popolo può essere perseguito non per ciò che ha fatto ma per ciò che rappresenta, allora domani nessun cittadino potrà sentirsi al sicuro.
I totalitarismi non si annunciano mai con fragore. Entrano piano, nelle pieghe della burocrazia, nei compromessi delle istituzioni, nelle eccezioni alla regola. Oggi è un’immunità da difendere. Ieri è stata un’immunità abusata. Domani potrebbe essere la libertà di parola, di stampa, di pensiero. E dopodomani, semplicemente, la libertà.