Donald Trump ha aperto il suo discorso all’Assemblea Generale dell’Onu con toni trionfali, sostenendo di aver posto fine a sette guerre in pochi mesi e accusando le Nazioni Unite di limitarsi a parole e lettere. . Alcuni conflitti restano irrisolti, altri hanno conosciuto tregue fragili, altri ancora non erano vere e proprie guerre. L’affermazione, dunque, appare più come un manifesto politico che come un bilancio realistico. Trump, accolto tra applausi e qualche perplessità, ha subito ironizzato sul malfunzionamento del teleprompter, promettendo di parlare “con il cuore”. Poi ha attaccato frontalmente l’istituzione che lo ospitava: “Che cosa fa l’Onu? Solo parole vuote e lettere forti. Non ha espresso il suo potenziale”. Un’apertura volutamente polemica, mirata a sottolineare il contrasto tra l’immobilismo delle Nazioni Unite e la concretezza dell’azione statunitense.
Il presidente ha parlato di sette guerre concluse sotto la sua guida. Ha citato le tensioni tra Armenia e Azerbaigian, tra Thailandia e Cambogia, tra Ruanda e Repubblica Democratica del Congo. Ha richiamato i negoziati in Asia meridionale e le intese economiche tra Serbia e Kosovo. Ha fatto riferimento alla tregua tra India e Pakistan e al fragile equilibrio in Medio Oriente, tra Israele e Iran. Secondo Trump, queste vicende rappresentano “un successo senza precedenti, raggiunto in soli sette mesi”.Ma gli osservatori internazionali rilevano una realtà più sfumata. Alcune delle crisi citate non erano guerre conclamate, bensì tensioni di confine o conflitti a bassa intensità. Altri accordi hanno prodotto solo cessate il fuoco temporanei e fragili, senza risolvere le cause profonde delle ostilità. In diversi casi, le Nazioni Unite o altri attori regionali hanno avuto un ruolo attivo, sebbene meno evidente.
La rivendicazione di pace si intreccia con la narrativa di un’America tornata grande. “È un’epoca d’oro per gli Stati Uniti, siamo la nazione più potente del mondo”, ha affermato Trump. Ha rivendicato una politica estera capace di far tornare il rispetto verso Washington, dopo anni in cui, a suo dire, “ci ridevano dietro”. L’immigrazione e la difesa dei confini sono stati portati come esempi di forza e credibilità ritrovata. Il discorso di Trump si è inserito in una giornata densa di interventi. Il segretario generale Antonio Guterres ha aperto i lavori con un monito: “I principi dell’Onu sono sotto assedio, la fame e l’impunità minano i pilastri della pace”. Ha invocato una soluzione a due Stati per il conflitto israelo-palestinese e un cessate il fuoco in Ucraina. Dal Brasile, Luiz Inacio Lula da Silva ha chiesto “una soluzione realistica” alla guerra tra Russia e Ucraina e ha criticato duramente gli attacchi al sistema giudiziario, in riferimento implicito a Trump e alle vicende legate a Jair Bolsonaro. La premier Giorgia Meloni è arrivata al Palazzo di Vetro in vista del suo intervento, previsto per il 24 settembre. L’intervento del presidente statunitense ha avuto l’obiettivo chiaro di ribadire il primato americano e la sua figura di leader risolutore. Ma la realtà internazionale appare meno netta. I conflitti citati sono in parte ancora aperti, in parte solo sospesi, e non tutti riconducibili a un’azione decisiva di Washington. Le parole di Trump restano dunque un potente strumento retorico, ma la pace, quella vera e duratura, continua a essere un terreno fragile e irrisolto.