Il Consiglio di Cooperazione del Golfo ha definito la proposta un passo utile verso la creazione di uno Stato palestinese indipendente, con confini al 1967 e capitale a Gerusalemme Est. Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi e altri stati hanno sottolineato l’urgenza di attuare seriamente il piano, evidenziando come il successo dipenda dalla tutela dei civili e da garanzie concrete di stabilità. Anche paesi come Egitto, Giordania e Turchia hanno espresso apprezzamento, invitando a un percorso che conduca alla soluzione dei due Stati. Alla Casa Bianca, Donald Trump ha illustrato con Benjamin Netanyahu un piano articolato in venti punti per fermare la guerra a Gaza. Il presidente americano ha definito la proposta un’occasione storica, sottolineando che Israele avrebbe il suo pieno sostegno militare se Hamas dovesse rifiutare l’accordo.

Le condizioni principali

Il documento prevede un cessate il fuoco immediato e la liberazione entro 72 ore di tutti gli ostaggi israeliani detenuti a Gaza, in cambio della scarcerazione di 250 prigionieri palestinesi e di altri detenuti arrestati negli ultimi mesi. È stabilito inoltre un ritiro graduale delle forze armate israeliane, senza una tempistica definita, e l’istituzione di un governo provvisorio sotto la supervisione di un Consiglio della Pace, formato da leader internazionali e palestinesi, guidato da Trump con il supporto di figure come Tony Blair. Hamas è esclusa da qualsiasi ruolo politico. Netanyahu ha accolto con favore il piano, affermando che esso consentirebbe il ritorno degli ostaggi, lo smantellamento delle capacità militari di Hamas e la garanzia che Gaza non rappresenti più una minaccia per Israele. A suo giudizio l’accordo rappresenta uno strumento per concludere la guerra senza rinunciare alla sicurezza nazionale.

Scontri politici e l'attesa per Hamas

Sul fronte interno, il Partito Democratico ha accusato il governo di immobilismo e di non aver mai condannato apertamente Netanyahu. Francesco Boccia ha definito il premier israeliano un criminale di guerra e ha lamentato l’assenza di un riconoscimento formale dello Stato di Palestina da parte dell’Italia. Carlo Calenda ha invece giudicato il piano un passo avanti, sottolineando il rifiuto di annessioni o espulsioni forzate e l’apertura a una gestione tecnica della ricostruzione. Il piano rimane appeso alla risposta di Hamas, che dovrà decidere se accettare le condizioni o affrontare nuove operazioni militari israeliane con il pieno sostegno degli Stati Uniti. Molti osservatori considerano la proposta un tentativo ambizioso di aprire la strada a un accordo duraturo, ma ricordano che la sua riuscita dipenderà dall’impegno concreto dei protagonisti e dalla capacità di bilanciare sicurezza e diritti del popolo palestinese.