Donald Trump, con il consueto tono perentorio, ha imposto un ultimatum a Hamas: accettare il suo piano di pace per Gaza entro domenica o affrontare “l’inferno”.
Il piano in 20 punti prevede il cessate il fuoco immediato, la liberazione di tutti gli ostaggi, il ritiro graduale delle truppe israeliane e la creazione di un’autorità di transizione palestinese sostenuta da paesi arabi e islamici. Trump ha parlato di “ultima occasione per la pace”, chiedendo a Israele di sospendere i bombardamenti per consentire la fase umanitaria e negoziale.

La risposta di Hamas

La replica di Hamas è arrivata in serata, con toni sorprendentemente concilianti. Il movimento palestinese ha dichiarato che il piano “non può essere attuato senza negoziati”, ma si è detto pronto a iniziare subito un confronto sui dettagli. Hamas ha accettato, in linea di principio, l’idea di liberare tutti gli ostaggi e di trasferire il controllo della Striscia a un ente palestinese riconosciuto, sostenuto da paesi arabi. Il portavoce Taher al-Nounou ha definito “incoraggianti” le parole del presidente americano, sottolineando la volontà di “porre fine alla guerra e garantire il ritiro dell’esercito israeliano”.

L’intervento di Trump nella notte

A tarda notte, Trump è tornato a parlare in un messaggio video pubblicato sulla sua piattaforma. Con tono trionfante ha definito il 3 ottobre “un giorno speciale, forse senza precedenti”, aggiungendo che “la pace è vicina” e che “tutti saranno trattati in modo equo”. Ha ringraziato pubblicamente Qatar, Turchia, Arabia Saudita e altri paesi “per l’enorme aiuto nel raggiungimento di questi risultati”, assicurando che “gli ostaggi torneranno presto a casa”.

La reazione di Israele

Da Gerusalemme la reazione è stata prudente ma significativa. Fonti vicine al primo ministro Netanyahu hanno parlato di “sorpresa” per la dichiarazione di Trump, ma nel giro di poche ore è arrivata un’apertura ufficiale. Israele, si legge in una nota, è “pronto all’immediata attuazione della prima fase del piano Trump per il rilascio degli ostaggi”, confermando la piena collaborazione con Washington. Nel frattempo, i vertici dell’esercito israeliano hanno ricevuto istruzioni di ridurre le operazioni a Gaza City al minimo necessario, rendendole “solo difensive”.

Le reazioni internazionali

Il segnale è stato accolto con entusiasmo dalle principali capitali europee. Emmanuel Macron ha parlato di “pace a portata di mano”, il cancelliere tedesco Merz di “svolta concreta”. Giorgia Meloni ha dichiarato che “l’Italia è pronta a fare la sua parte”, mentre il premier britannico Starmer ha definito l’intesa “un passo significativo”. Anche Qatar ed Egitto, mediatori centrali nel conflitto, hanno espresso soddisfazione, annunciando di aver avviato colloqui per completare il percorso diplomatico con gli Stati Uniti. Il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha invitato “tutte le parti a cogliere questa opportunità storica per fermare la guerra”.

Le incognite della pace

Nonostante l’euforia, restano diversi nodi da sciogliere. Hamas non ha ancora affrontato in modo esplicito la questione della smilitarizzazione, uno dei punti cardine del piano americano. Resta poi da definire il futuro governo della Striscia: chi guiderà l’ente palestinese di transizione e con quali garanzie di indipendenza?
Sul piano militare, inoltre, il fragile equilibrio potrebbe essere rotto da azioni isolate o provocazioni. Gli analisti sottolineano che solo un meccanismo di verifica internazionale potrà dare credibilità e stabilità all’accordo.

La prospettiva

La notte del 3 ottobre potrebbe essere ricordata come l’inizio di un nuovo capitolo o come l’ennesima occasione mancata. Trump ha imposto il ritmo, Hamas ha risposto, Israele si è mossa con cautela. Per la prima volta dopo mesi di guerra e migliaia di vittime civili, le parole “pace” e “cessate il fuoco” tornano al centro del linguaggio politico. Ma la vera sfida comincia ora: trasformare le dichiarazioni in fatti e mantenere la fragile fiducia costruita in poche ore di febbrili trattative.