Sono tornati. I primi sette. Poi tra qualche manciata di ore diventeranno venti. Gli ostaggi israeliani, prigionieri da oltre settecentottanta giorni nelle mani di Hamas, hanno finalmente riattraversato la linea di confine. Sette nelle prime ore del mattino, gli altri in consegne scaglionate al Comitato Internazionale della Croce Rossa. È la notizia che Israele e il mondo aspettavano da mesi. Ma è anche una notizia che pesa: perché, se da una parte sancisce un successo umanitario, dall’altra certifica un fallimento strategico. Hamas ha giocato con i tempi, con le emozioni, con la diplomazia. Ha usato gli ostaggi come una “mossa di pedoni”: piccole figure sulla scacchiera, apparentemente sacrificabili, ma capaci di bloccare l’avversario più potente, di costringerlo a muoversi in difesa, di guadagnare spazio. E così è stato.
L’esercito più organizzato e tecnologico del mondo si è trovato per mesi sotto scacco di un gruppo frammentato, ridotto a macerie, ma ancora capace di dettare il ritmo del gioco. Ogni trattativa, ogni silenzio, ogni video pubblicato o negato ha spostato l’asse della pressione politica interna a Tel Aviv, ha diviso il governo, ha minato la fiducia dell’opinione pubblica. Ora gli ostaggi tornano a casa. Ma il ritorno non chiude la partita: la apre. Perché la domanda che resta, bruciante, è come un Paese nato con l’idea della forza e della deterrenza si trovi oggi a misurare la propria vulnerabilità non sul campo di battaglia, ma nei corridoi del potere, nei talk show, nei sondaggi.
La liberazione è una vittoria diplomatica, certo. Ma è anche il simbolo di un logoramento che non si misura in chilometri quadrati, bensì in credibilità. Perché mentre Hamas esibisce la propria sopravvivenza come un trofeo politico, Israele deve fare i conti con un equilibrio interno sempre più fragile, un governo logorato, una comunità internazionale che comincia a voltarsi altrove. Le guerre moderne non si vincono solo con i droni o con i tank. Si vincono – o si perdono – nel modo in cui si raccontano. E su questo terreno, la “mossa dei pedoni” ha colpito nel segno. Il risultato c’è, ma ora viene il difficile: ricostruire una narrazione di forza credibile, dopo che il nemico ha dimostrato di poter cambiare le regole del gioco con le sole pedine più deboli.