Qualche giorno fa, Cristiano Lucarelli, ex attaccante del Napoli e oggi buon allenatore, parlando a Radio Marte del giovane centravanti del Napoli che oramai tutti esaltano in giro per il mondo, il danese Rasmus Højlund, ha dichiarato: “Højlund mi piace molto, del resto non è che il Napoli ha fatto una scommessa per sostituire un calciatore importante come Lukaku. Bisogna fare i complimenti alla società perché ha preso un giocatore già di livello. Mi sorprende di più la sua velocità di inserimento, perchè non è così matematico che un calciatore scende dall'aereo, va a Castelvolturno, si cambia, conosce i compagni, si mette la tuta di allenamento, le scarpe da gioco, va in campo e comincia a segnare subito. Non è scontato, ci sono giocatori che ci mettono un anno, due anni, tre anni a riuscire a diventare immediatamente dei calciatori importanti." Per poi concludere: "Inoltre mi ha colpito la dichiarazione di Conte ‘Højlund può diventare un crack’.
Se lo dice lui che lo allena tutti i giorni, se lo dice un allenatore che normalmente non si espone e che non regala complimenti a tutti, vuol dire che il danese può avere un grandissimo futuro". Onestamente mi sembra si stia un po' esagerando. Non so cosa ci riserverà il futuro, ma resta evidente che la squadra azzurra e, soprattutto, il suo staff tecnico e la sua dirigenza non devono solo spingere il ragazzo ai più alti traguardi personali, ma inserirlo in un produttivo - meglio se anche felice - contesto d'assieme, unico vero presupposto per ogni genere di vittoria.
Ancor più non è il caso di farlo ora, con i partenopei che hanno l'imminente rientro di un grande attaccante come Romelu Lukaku, che tanto ha contribuito (non solo con i gol) alla vittoria del quarto scudetto, e un giovane - ma non più giovanissimo - italiano, tutt'altro che scarso, come Lorenzo Lucca, che sa bene di avere questa unica e sola possibilità di salire ai vertici calcistici nazionali e su cui il Napoli e Conte devono aver riposto grandi speranze se c'hanno investito una cifra importante per prenderlo dall'Udinese. Insomma, la società, lo staff tecnico e i calciatori tutti - quelli più avvantaggiati e quelli meno da questa situazione - devono saper fare "squadra", valorizzando i singoli ma senza mettere in ombra (o addirittura escludere) nessuno. È questo uno dei grandi segreti per lottare insieme per traguardi prestigiosi: lavorare per sé stessi, migliorando i propri compagni, di squadra certamente, ma quando sono di reparto e giocano nello stesso ruolo è il non plus ultra.