Avellino

La cultura della pace e della bellezza, come strumento di riscatto sociale. Oggi, in occasione della prima della due giorni di celebrazione del 60esimo anniversario del Murale della Pace del maestro Ettore De Conciliis, nella chiesa di Borgo Ferrovia, lo storico parroco Don Luigi Di Blasi dice serve riscatto sociale , serve una rivluzione della bellezza ad Avellino.

L'opera di De Conciliis

Sessant’anni fa Ettore de Conciliis su commissione di Don Ferdinando Renzulli dipinse l’orrore delle guerre e la speranza di una nuova umanità . "Un'opera intensamente rivoluzionaria, straordinariamente attuale – spiega don Michele Ciccarelli , parroco di Borgo Ferrovia -. Un messaggio sempre potente, su cui ogni domenica invito i nostri fedeli a ragionare". L'opera è stata messa al sicuro dalle infiltrazioni di umidità nella chiesa, grazie all'intervento di coibentazione garantito dall'associazione Per Borgo Ferrovia guidata da Walter Giordano. Su 120 metri quadrati del suo murale della pace, c'è il racconto di una sorta di giudizio universale laico.

Nella chiesa di San Francesco

Allestito lungo l’abside della chiesa di San Francesco, il Murale grida ancora oggi i suoi contenuti al mondo, e diventa racconto contemporaneo, se si pensa ai conflitti a Gaza e in Ucraina. L’opera mette insieme: l’orrore delle guerre di sempre e le speranze di una nuova umanità di santi e rivoluzionari, vescovi e atei, poeti e braccianti dell’Alta Irpinia, filosofi e contadini del Vietnam. «La mia utopia, allora, era di migliorare il mondo con l’arte – spiega il maestro de Conciliis -. Avevo vent’anni e coglievo un’urgenza che alimentava la mia passione civile e mi spinse a lanciare la sfida. Bisognava fare qualcosa che avesse a che fare con la storia delle sofferenze degli esseri umani. Ecco perché ci sono queste immagini alle mie spalle. Ci sono persone di diverse fedi e culture, che si incontrano per dire che c'è bisogno di fermare le guerre per vivere meglio, lavorando per la pace».

L'opera che ruppe gli schemi

Era il 23 ottobre 1965 quando il murale, commissionato dal parroco Ferdinando Renzulli, a cui aveva lavorato con Rocco Falciano, consegnò la visione di una scena che decenni dopo Vittorio Sgarbi avrebbe considerato debitrice alla «Crocifissione» di adv Renato Guttuso e a «Guernica» di Pablo Picasso: un Cristo tra le macerie di una città distrutta da una guerra infinita e che attraversa ogni tempo, il fungo delle bombe atomiche lanciate su Nagasaki e Hiroshima, mille lapidi delle vittime innocenti senza nome, le sagome dei partigiani impiccati, Pio XII con le braccia rivolte al cielo. Sul lato destro dei 120 metri quadri di opera la devastazione della guerra feroce, mentre sulla sinistra una folla attornia la figura di un San Francesco uscito dalla tela di Cimabue: tra tanti personaggi celebri, anche i volti della gente comuni. Tra i volti noti Giovanni XXIII e John Fitzgerald Kennedy, Mao Tse-Tung, Francesco De Sanctis, Carlo Levi e Guido Dorso, di Rocco Scotellaro e Bertrand Russell, di Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti, Fidel Castro e Sophia Loren, Pablo Picasso e Renato Guttuso, Eduardo De Filippo e Cesare Pavese, Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini. Una straordinaria e potente utopia, un luogo in cui si lavora ogni momento per la pace, attraverso convicenza e confronzo. Sessanta anni dopo il murale di De Conciliis continua a parlarci di un presente oscuro, ma che è possibile cambiare.