Per il furto del secolo al museo del Laouvre la risposta delle autorità è stata praticamente immediata. Oltre cento agenti della polizia giudiziaria, coordinati dalla procuratrice Laure Beccuau, sono stati mobilitati per ricostruire ogni passaggio della rapina. Sul luogo del furto sono stati rinvenuti diversi oggetti: guanti, caschi, walkie-talkie e attrezzi da taglio. Proprio su questi materiali gli esperti della polizia scientifica hanno isolato oltre centocinquanta tracce biologiche. L’esame del Dna ha permesso di risalire a due uomini di circa trent’anni, entrambi originari di Seine-Saint-Denis, nella banlieue parigina, già conosciuti per precedenti furti e reati su commissione. Gli investigatori hanno ricostruito i loro movimenti fino al momento dell’arresto: il primo è stato fermato all’aeroporto di Roissy mentre cercava di imbarcarsi su un volo per Algeri, il secondo intercettato poco dopo in un sobborgo di Parigi, pronto a fuggire verso il Mali. I due sono accusati di furto aggravato in banda organizzata e associazione a delinquere. Il loro fermo, disposto dalla procura, potrà durare fino a novantasei ore prima dell’eventuale convalida da parte del giudice istruttore.

Le ombre sul bottino e le piste internazionali

Era la notte del 19 ottobre quando una banda di quattro uomini, travestiti da operai, è entrata in azione nel cuore di Parigi. Servendosi di un camion con piattaforma elevatrice, i ladri sono riusciti ad accedere a un punto laterale del museo e, in pochi minuti, hanno forzato la vetrina che custodiva parte dei gioielli della corona francese nella celebre Galerie d’Apollon. Il furto è durato meno di dieci minuti: i malviventi hanno portato via otto pezzi di altissimo valore, per un totale stimato di oltre 88 milioni di euro. L’azione è stata fulminea e perfettamente organizzata. Le telecamere di sorveglianza hanno registrato movimenti rapidi e precisi, ma non abbastanza chiari da consentire un’identificazione immediata. La fuga, avvenuta a bordo di scooter, si è dispersa tra le strade ancora semideserte del centro di Parigi, lasciando gli investigatori con pochi indizi ma con la certezza di trovarsi di fronte a professionisti dei furti su commissione.

Al momento, la gran parte del bottino resta introvabile. Solo uno dei preziosi, la corona dell’imperatrice Eugenia, sarebbe stato recuperato, seppure danneggiato. Gli inquirenti ritengono che gli altri pezzi siano già stati affidati a ricettatori o trafficanti internazionali, probabilmente attraverso rotte che toccano il Nord Africa e l’Africa Occidentale. Gli investigatori non escludono che dietro al colpo ci sia un’organizzazione più ampia, con basi logistiche e contatti fuori dall’Europa. Le fughe dei due fermati verso Paesi africani sembrano confermare questa ipotesi, suggerendo la possibilità che i gioielli fossero destinati a un mercato parallelo o a collezionisti senza scrupoli.

Il Louvre e la ferita simbolica

Il furto ha provocato grande scalpore non solo per il valore economico, ma per il significato simbolico dei beni trafugati. I gioielli della corona rappresentano un patrimonio identitario della Francia, testimonianza diretta della monarchia e del fasto imperiale. Il Louvre, che aveva riaperto solo due giorni dopo il colpo, ha dovuto fare i conti con gravi falle nel sistema di sicurezza esterno, in particolare nell’area del ponteggio da cui i ladri si sono introdotti. La direzione del museo ha promesso un piano straordinario di revisione delle procedure di sorveglianza e delle tecnologie di controllo, mentre il ministro della Cultura ha parlato di «ferita nazionale che richiede una risposta esemplare».

La caccia ai complici e il destino dei gioielli

Le indagini proseguono per individuare gli altri due componenti della banda e, soprattutto, per recuperare i gioielli scomparsi. Le autorità francesi stanno collaborando con Interpol e con le polizie di diversi Paesi del Nord Africa, nella convinzione che una parte del bottino possa già essere stata spostata all’estero. Il caso resta aperto e segna una delle operazioni investigative più imponenti degli ultimi anni in Francia, dove la precisione scientifica dell’analisi del Dna ha permesso di compiere un passo decisivo in una vicenda che intreccia ingegno criminale, fragilità dei sistemi museali e il peso simbolico del patrimonio culturale nazionale.