Fino a pochi mesi fa era un deputato locale del Queens, noto per le sue battaglie contro il caro-affitti. Oggi Zohran Mamdani siede a City Hall come primo sindaco musulmano nella storia di New York. È figlio di immigrati, cresciuto tra Astoria e Long Island City, e rappresenta il volto di una città che cambia: multiculturale, giovane, impaziente di rompere con le logiche dell’élite finanziaria che per decenni ha guidato Manhattan. La sua ascesa, costruita con campagne di quartiere e volontari entusiasti, ha travolto i pronostici e le macchine elettorali tradizionali. Nei seggi dei distretti popolari si sono viste file mai così lunghe da oltre vent’anni. Studenti, lavoratori precari, giovani afroamericani, ispanici e asiatici hanno votato in massa. È la cosiddetta “Generazione Gaza”, cresciuta tra social network, crisi ambientale e conflitti globali, che trova in Mamdani una voce capace di parlare di diritti, salario e dignità. Il suo linguaggio diretto e la campagna porta a porta hanno riportato alla politica un elettorato spesso disilluso.
Il programma del “socialismo urbano”
Trasporti pubblici gratuiti, blocco degli sfratti, asili comunali e supermercati municipali per contrastare il carovita: Mamdani ha trasformato le sue proposte in una piattaforma concreta. In una città simbolo del capitalismo mondiale, la promessa di una redistribuzione urbana appare rivoluzionaria. Eppure, nella struttura federale americana, il sindaco di New York dispone di poteri estesi: gestisce polizia, scuola e bilancio, con autonomia fiscale. Il suo progetto, dunque, non è solo manifesto ideologico ma potenziale laboratorio politico. Da oggi inizia la fase più difficile. Mamdani dovrà confrontarsi con la realtà delle lobby economiche, con l’emergenza abitativa e con le richieste di sicurezza che dividono la città. I primi segnali di tensione arrivano già da Wall Street e dai grandi gruppi immobiliari. Alcuni osservatori temono che il giovane sindaco possa essere costretto, come accadde a Barack Obama, a moderare la spinta ideale della sua campagna. Ma il mandato popolare che lo sostiene resta forte e identitario.
Il valore simbolico e geopolitico
L’elezione di Mamdani va oltre i confini della città. È la prima volta che una metropoli ferita dall’11 settembre sceglie un sindaco musulmano, in una società che ancora misura le proprie paure attraverso la lente della sicurezza. L’evento assume rilievo globale: nel mondo arabo come segnale di integrazione possibile, in Europa come laboratorio politico di sinistra post-liberale, negli Stati Uniti come sfida al trumpismo e al declino del centro democratico. Il voto newyorkese racconta la forza delle città come motori di trasformazione. Lì dove le periferie tornano protagoniste, si sperimentano modelli di partecipazione e giustizia sociale che potrebbero ispirare anche le grandi aree urbane italiane, da Napoli a Milano. Mamdani è il simbolo di una politica che rinasce dal basso, nelle piazze, nei campus, nelle comunità locali. È la prova che il futuro delle metropoli – e forse della democrazia – passa dalle mani di chi, fino a ieri, sembrava non avere voce.