Mentre oltreoceano il neosindaco di New York costruisce il proprio consenso sulla parola più antica del mondo — giustizia — promettendo case per chi non ne ha, trasporti gratuiti per chi lavora e un welfare che curi le ferite sociali invece di nasconderle, qui da noi il discorso pubblico si perde tra bonus effimeri e passerelle mediatiche. Là si discute di come redistribuire la ricchezza, da noi di come giustificare la povertà. E mentre gli Stati Uniti si interrogano su come garantire a tutti un tetto e una cura, in Campania c’è chi ancora aspetta un medico di base, un consultorio funzionante, un autobus che non arrivi già pieno. Secondo il Welfare Italia Index 2025, la Campania è la penultima regione d’Italia per assistenza ai bisognosi, ferma a 62 punti su 100. Peggio fanno solo Basilicata e Calabria. In cima alla classifica, Trento e Bolzano, che sembrano appartenere a un altro Paese, a un’altra epoca, a un’altra idea di Stato.

Il divario tra chi ha tutto e chi non ha più nemmeno la forza di chiedere è ormai strutturale. Aumenta di anno in anno, come una crepa che attraversa la penisola. Al Nord si sperimenta, al Sud si sopravvive. Laddove l’autonomia differenziata promette “efficienza”, al Mezzogiorno resta il compito di accettare i resti. Il 23,1% degli italiani è a rischio povertà o esclusione sociale. Ma in Campania questa percentuale sale come un termometro impazzito, e con essa cresce la rassegnazione. Gli ospedali si svuotano di medici e si riempiono di attese. Le liste per un esame diagnostico sembrano un rito d’iniziazione alla pazienza. E la salute — che dovrebbe essere un diritto costituzionale — diventa un lusso da pendolari: chi può, sale su un treno per curarsi al Nord; chi non può, aspetta e prega.

È l’Italia dove si trova il modo di finanziare ponti sullo Stretto, ma non asili nei quartieri popolari. Dove si discute di intelligenza artificiale mentre mancano i termometri negli ambulatori. Dove il ministro della Salute parla di “eccellenze”, ma la realtà quotidiana è fatta di pronto soccorso al collasso, infermieri esausti e cittadini invisibili. Siamo il Paese dove la parola welfare viene pronunciata solo nei convegni, magari quelli organizzati dalle stesse multinazionali che pagano stipendi da fame. Il rapporto auspica una “strategia nazionale” che metta le persone al centro. Ma chi le metterà, se la politica è troppo occupata a salvarsi da sé? Il Sud non chiede carità: chiede giustizia. Chiede che un bambino di Avellino o di Scampia abbia le stesse opportunità di uno di Udine. Chiede che curarsi non dipenda dal CAP di residenza. Mentre il mondo guarda avanti, l’Italia gira su se stessa. E la Campania, terra di intelligenze e passioni, resta schiacciata tra l’abbandono istituzionale e la retorica dell’autosufficienza. Forse servirà un sindaco di New York anche qui, qualcuno che abbia il coraggio di dire che la povertà non è una colpa ma una ferita collettiva. Fino ad allora, continueremo a misurare il progresso con lo stesso metro storto di sempre: il metro che ci dice che il Sud vale meno.