Un atto d’accusa da 4 mila pagine e una richiesta di condanna che supera ogni misura: 2.352 anni di carcere, fino all’anno 4378. È quanto il procuratore capo di Istanbul Akin Gurlek ha chiesto per Ekrem Imamoglu, 54 anni, sindaco della metropoli e figura di punta del Partito Popolare Repubblicano (Chp).
Secondo l’accusa, Imamoglu sarebbe il vertice di una rete criminale composta da 400 persone, un sistema che “si sarebbe diffuso nella città come i tentacoli di una piovra”, capace di arrecare allo Stato danni per 160 miliardi di lire turche, pari a 3,28 miliardi di euro.

L'unico capace di opporsi a Erdogan

Imamoglu è considerato l’unico politico dell’opposizione in grado di contendere la presidenza a Recep Tayyip Erdogan, al potere dal 2003 con il partito islamico Akp. Il suo arresto, avvenuto il 19 marzo scorso, aveva già provocato proteste di piazza a Istanbul e in molte città del Paese, con decine di migliaia di cittadini che avevano denunciato una svolta autoritaria. Ora l’atto d’accusa formalizza un processo che, secondo gli osservatori, mira a neutralizzare l’unico sfidante credibile del presidente in vista delle presidenziali del 2028.

Le reazioni dell’opposizione

Il leader del Chp Özgür Özel ha definito il documento “un memorandum politico di golpisti, non un atto d’accusa”.
Su X ha scritto: “Il 19 marzo c’è stato un colpo di Stato civile. I golpisti non sono arrivati con i carri armati ma con le toghe da giudice. Un pugno di persone ha trascinato la Turchia nell’oscurità di una grave crisi politica ed economica, imprigionando i rivali che temono”.
Per l’opposizione, l’intera operazione giudiziaria rientrerebbe in un piano “studiato per indebolire il fronte democratico e impedire a Imamoglu di correre alle presidenziali”. Dal penitenziario di Silivri, alla periferia di Istanbul, Imamoglu non ha rilasciato dichiarazioni. Sulla sua pagina X resta fissato un messaggio che sintetizza il suo percorso politico: «15,5 milioni di voti per il candidato alla presidenza Ekrem Imamoglu», accompagnato dal gesto della mano sul cuore.
Un simbolo di resistenza civile in un Paese dove la linea tra giustizia e politica appare sempre più sottile.