C’è un momento, nella vita politica di un Paese, in cui la realtà supera la satira. E poi c’è il momento in cui la satira implora: “Basta, non ce la faccio a starvi dietro.” Quello che sta accadendo con la polemica tra Bignami, La Verità e il Quirinale appartiene alla seconda categoria. Una roba talmente assurda che perfino Crozza chiamerebbe Mattarella dicendo: “Presidente, ma come faccio? A questo punto lei dovrebbe interpretare me”. Galeazzo Bignami — sì, proprio lui, quello della famosa foto in divisa creativa che sembrava uscita da un carnevale pericolosamente fuori tema — ha deciso di fare ciò che ogni politico prudente farebbe quando una testata pubblica un retroscena surreale: chiedere spiegazioni al Quirinale.

Non alla testata. Non al giornalista. Non alla persona citata. No, no. Troppo semplice. Direttamente al Colle. Così, giusto per far capire che la moderazione è un concetto relativo. Nell’articolo incriminato si racconta che un consigliere del Quirinale vorrebbe sabotare Giorgia Meloni, imbastire un’operazione alla “Ulivo 2 – La vendetta”, mettere su una mega lista civica nazionale e invocare persino un “provvidenziale scossone”. Una roba così esagerata che persino la sceneggiatura de Il Caimano sarebbe sembrata sobria.

Il Quirinale, che di solito parla solo se scoppia una crisi, se è in corso la formazione di un governo o se qualcuno confonde la Costituzione con il menù del ristorante, stavolta ha risposto. E quando il Colle risponde, risponde bene. La nota dice: “Si registra stupore… sconfinando nel ridicolo.” Traduzione simultanea: “Per piacere, rimettete l’elmetto nell’armadio e fate i bravi”. Il Colle che dà del “ridicolo” a un capogruppo della maggioranza è come vedere Mattarella che lancia una racchetta da tennis a un G7. Non lo fa se non è veramente stufo. Ed ecco, puntualissima, la contro-replica di Bignami: “Io? Ma quando mai! Non ho tirato in ballo il Quirinale". Ah no? Allora chi ha chiesto la smentita? La Regione Abruzzo? La Pro Loco di Predappio? L’Unione Mondiale dei Complotisti Anonimi? Lui no, giura.
È un po’ come dire: “Non stavo dando fuoco al cestino, stavo solo accendendo un cero votivo molto grande”. Nel frattempo, Belpietro — l’unico giornalista italiano che riesce a parlare di golpe anche se si accende un lampadario — conferma tutto parola per parola.

Assurdo? Sì. Surreale? Ancora di più. Satira involontaria? Al massimo livello. È bene ricordarlo: Mattarella è il tipo che non alza la voce nemmeno quando crolla un governo. È l’uomo che mantiene la calma anche quando deve spiegare per la quinta volta a certi ministri come funziona l’articolo 92 della Costituzione. È il Presidente più misurato della storia repubblicana recente. Eppure oggi si trova catapultato in una situazione che sembra scritta da qualcuno che ha passato troppo tempo su YouTube a guardare video su “retroscena occultati dalle élite”. Di fronte a tutto questo, Mattarella sembra l’unico adulto in una stanza piena di teatranti in costume: chi con l’elmetto immaginario, chi con la divisa da festa a tema sbagliata, chi con il megafono dell’indignazione usa-e-getta. Alla fine, chiunque osservi la scena capisce immediatamente dov’è l’istituzione e dov’è il cabaret.
Mattarella e il Quirinale: serietà, misura, ruolo costituzionale. Dall’altra parte: un festival d’iperboli, sospiri da vittima del sistema, richieste di smentite impossibili, e un déjà-vu di travestimenti che la storia politica non dimentica. E così, mentre qualcuno combatte contro i fantasmi che lui stesso inventa, il Colle resta lì, immobile, saldo, tranquillo.
Come a dire: “Noi non partecipiamo al carnevale. Però buona sfilata a tutti.”