Da italiani siamo passati dallo studio del De bello gallico, monumentale narrazione di battaglie finite nei libri di storia, al De bello Galli, strampalata ordalia con resoconti sotto dettatura su una incompresa guerra dei polli, dove ogni gallo canta ma a sproposito: basta una frase fraintesa per scatenare la liturgia della vittima in trincea. L’ironia è sprecata: ciò che dovrebbe far ridere ormai detta l’agenda politica.
La vicenda si apre con la gravità stonata di un’opera buffa: Francesco Saverio Garofani, consigliere quirinalizio, viene additato da Fratelli d’Italia come il Richelieu segreto di un presunto complotto ai danni di Giorgia Meloni, la Premier invincibile. Ma più che una trama, è un chiacchiericcio. Niente documenti, niente azioni: solo confidenze da bar, frasi sfilacciate tra amici, interpretate con quella foga tutta italiana di vedere in ogni caffè ristretto una mossa di Risiko.
Il processo non avviene nei palazzi, ma nei talk show e sui social, con l’enfasi dei crociati del retroscena. E la prova regina? Il nulla, sapientemente impiattato con l'aria grave delle congiure ottocentesche. È la Repubblica dei Polli, dove ogni stormir di tovagliolo diventa golpe, e ogni sospetto è materia da prima serata.
Il ridicolo, qui, sfonda la soglia del sublime. Garofani, figura moderata, discreta, di scuola democristiana — che in altri tempi sarebbe stato accusato al massimo di prudenza eccessiva — diventa l’Eminenza Grigia della fiction. L’errore? Avere un profilo istituzionale. Perché oggi, il vero potere non è più nell’ombra: è nel gridare al complotto, senza nemmeno saperlo riconoscere. La trama è sempre la stessa: adulti travestiti da strateghi che giocano alla geopolitica del pollaio. La Meloni, trasfigurata in Paladina del Popolo, si oppone a invisibili uomini-ombra. Non ci sono spie, né manovre occulte: ci sono like, indignazioni di cartone e hashtag impugnati come prove. Garofani diventa capro espiatorio per aver incarnato ciò che dovrebbe rassicurare: sobrietà, equilibrio, continuità. Viene sacrificato sull’altare del sospetto, in un Paese che da tempo ha smarrito il senso delle istituzioni, scambiandolo per debolezza.
Benvenuti nella commedia politica italiana, dove la logica resta al guardaroba, la prova è optional, e la diffamazione va in onda come un reality senza montaggio. Se questa è la teoria del complotto, la realtà è ben più grottesca: un vuoto di idee mascherato da indignazione permanente, agitato da tribuni improvvisati che sanno solo urlare “al lupo!” — anche quando il pollaio è vuoto.