Pompei

"Abbiamo condotto degli studi in collaborazione con l'Università di Napoli e col Cnr  e abbiamo effettuato delle campagne oceanografiche prelevando delle carote di sedimento, per esempio di fronte alla Calabria, a centinaia di chilometri dal vulcano Vesuvio. Studiando queste carote è venuto fuori il livello dell'eruzione di Pompei, a centinaia di chilometri.

Significa che questa nube vulcanica, queste ceneri, sono state trasportate dal vento a sud-sud-est  e si sono depositate in fondo al mare. Questa carota proviene dai a 600 metri di profondità. Sono stati trovati i resti di questa cenerite, che è stata datata radiometricamente.

E noi abbiamo tutti i dati climatici di quell'intervallo. Quindi Vesuvio non è soltanto vicino Pompei, ma ci sono tracce in tutto il bacino tirrenico. Ovviamente dipende dalla direzione del flusso e del vento. In questo carotaggio abbiamo studiato le variazioni e le oscillazioni tramite i nostri marker, i microfossili, e abbiamo trovato che proprio in prossimità, subito dopo l'eruzione di Pompei, c'è una stata una piccola diminuzione della temperatura. 

Dopo l’eruzione di Pompei, la temperatura diminuì.  Un dato a testimonianza che una grande eruzione vulcanica portando molta cenere in atmosfera può creare delle modifiche al sistema meteorologico".

 Lo ha affermato Antonio Caruso, paleoclimatologo e docente di Paleontologia e Paleocologia presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche, Chimiche e Farmaceutiche dell'Università di Palermo, intervenendo alla conferenza internazionale: "Pompei 79 d.C. questioni di metodo e di narrazione storica", all’Antiquarium di Boscoreale organizzata dal Parco Archeologico di Pompei in collaborazione con la Casa editrice Scienze e Lettere e l'Archeoclub d'Italia.

Dal possibile studio dei pollini potrebbe arrivare la risposta alla datazione dell’eruzione del 79 d.C.!

"Il calendario astronomico che si usava nel 79 d.C.  era simile a quello che oggi noi usiamo con piccole differenze.  Dal punto di vista astronomico, per esempio l'equinozio di primavera ricadeva il 22 marzo – ha continuato Caruso - molto simile, adesso è il 20 marzo. Mentre invece l'equinozio di autunno era il 24 settembre, una differenza di soli due giorni rispetto a quello che noi oggi abbiamo nel 2025.

Il problema invece è la posizione della Terra nella rotazione attorno al Sole, perché la posizione e la distanza, che erano diverse rispetto a quella di oggi, possono cambiare effetti climatici,  quindi effetti anche di temperatura media del Pianeta, e questo ha delle ricadute. Si è visto che la posizione rispetto alla distanza ha un impatto fondamentale sulla durata e sulla temperatura media del pianeta.   Potrebbe darsi che nell’Agosto del 79 d.C. ci sia stato un clima con temperature più basse, del resto è stato registrato anche nel passato, pochi anni fa, in cui la temperatura nel periodo estivo è stata più bassa, dovuta a tanti fattori, la distanza Terra-Sole, ma anche l'attività delle macchie solari per esempio. L'attività delle macchie solari non è costante, è ciclica, e quindi in alcune fasi l'aumento o diminuzione delle macchie solari ha un impatto sulla radiazione solare.

Questo significa che essendo un clima probabilmente autunnale in quel periodo, anche ovviamente i prodotti, la produzione agricola, anche queste situazioni ne risentivano. Sicuramente la posizione della Terra non era esattamente come quella di oggi e quindi questo aveva un impatto sul clima.  Purtroppo noi non disponiamo di dati esattamente di temperatura di quel periodo.

Dalle ricostruzioni paleoclimatiche si vede una piccola diminuzione della temperatura proprio a cavallo dell'anno 79, ma noi non possiamo, purtroppo non riusciamo a quantificare di quanti gradi era diversa la temperatura.  Secondo me potrebbero darci un aiuto i pollini, perché i pollini indicano anche il tipo di vegetazione che c'è nell'area.  Quindi studiare i pollini secondo me di quell'intervallo dovrebbe essere molto interessante per capire il tipo di vegetazione e quindi risalire a una probabile paleotemperatura".