sraeliani ha fatto irruzione nella casa dove alloggiavano alcuni volontari internazionali impegnati in attività civili sul territorio. In pochi minuti l’attacco: minacce, percosse, oggetti rubati, paura. Quattro i feriti, tre italiani. Nessuno in pericolo di vita, ma tutti profondamente scossi. È l’ennesima prova di una Cisgiordania dove la linea tra città e campo di battaglia si assottiglia ogni giorno.
Farnesina in allerta e richiami diplomatici
La Farnesina ha confermato l’accaduto, informando che i volontari sono stati assistiti all’ospedale di Gerico e subito dimessi. Il Consolato generale a Gerusalemme ha seguito passo passo l’intera vicenda. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha ribadito la condanna delle violenze dei coloni, ricordando che l’Italia — insieme a Francia, Germania e Regno Unito — aveva già richiamato Israele alle proprie responsabilità. L’appello è netto: fermare i coloni, proteggere i civili, evitare che la situazione degeneri oltre il punto di non ritorno.
Una Cisgiordania dimenticata ma sotto pressione
L’attenzione internazionale resta centrata su Gaza, ma è nella Cisgiordania occupata che il rischio di un’escalation quotidiana si fa più concreto. Negli ultimi mesi, tra raid, scontri, assalti ai villaggi e rappresaglie, la spirale di violenza è cresciuta senza sosta. La presenza armata dei coloni, rafforzata dalle tensioni politiche interne a Israele e dalla percezione di un conflitto che inghiotte ogni certezza, sta modificando l’equilibrio del territorio. L’attacco a Ein al-Duyuk non è un evento isolato: è il sintomo di un contesto ormai esplosivo.
Gaza tenta di rialzarsi, tra macerie e lezioni
A pochi chilometri, oltre il confine della Striscia, la tregua entrata in vigore dopo il via libera al piano di pace americano continua a essere fragile. Gaza prova a ripartire, con l’Università islamica che ha ripreso gradualmente le lezioni in edifici sventrati. Centinaia di famiglie sfollate trovano riparo proprio negli spazi universitari, trasformati in rifugi improvvisati tra pareti crepate e aule ricostruite alla meglio. È un’immagine che racconta la tenacia della popolazione, ma anche la gravità dei danni inflitti da due anni di conflitto.
Le ombre della politica israeliana
Nel frattempo, a Gerusalemme, la politica vive un terremoto: il premier Benyamin Netanyahu ha chiesto la grazia al presidente Isaac Herzog per i procedimenti per corruzione che lo riguardano. Una mossa che intreccia il destino personale del leader con quello del Paese, in un momento in cui la società israeliana è divisa e provata dalla guerra. La scelta di rivolgersi al capo dello Stato, invocando l’unità nazionale e la necessità di evitare ulteriori lacerazioni, alimenta un dibattito acceso tra sostenitori e detrattori.
Ostaggi, mediazioni e un equilibrio che vacilla
La questione degli ostaggi resta il cuore politico ed emotivo della crisi. Le famiglie chiedono pressioni maggiori su Hamas, mentre i mediatori — in primis il Qatar — tentano di mantenere in vita un accordo ancora incompiuto. Ogni violazione, ogni attacco, ogni ritardo nel recupero dei corpi alimenta un clima di sfiducia reciproca che rischia di compromettere il passaggio alla seconda fase dell’intesa, quella che dovrebbe consolidare una tregua più stabile.
Un Medio Oriente che torna a respirare polvere
L’aggressione ai tre italiani è un frammento di un quadro più ampio: un conflitto che non conosce linee nette, dove la tregua non spegne la polvere da sparo e dove i fronti si moltiplicano. Gaza, la Cisgiordania, il dossier iraniano, la crisi interna israeliana: tutto contribuisce a un’aria sempre più carica di tensioni. In questo scenario, ogni episodio, anche il più circoscritto, rischia di diventare la scintilla che accende nuove fiamme.