Un sistema che spaziava dalle estorsioni al traffico di droga, dal recupero crediti alla gestione degli alloggi popolari, fino al racket sulle truffe informatiche. È il quadro ricostruito dai carabinieri del Comando provinciale di Napoli e dalla Direzione distrettuale antimafia nell’operazione scattata alle prime luci dell’alba contro il clan Licciardi, storica famiglia dell’Alleanza di Secondigliano, egemone nell’area Nord del capoluogo.
Sono 21 gli indagati raggiunti da misura cautelare firmata dal gip di Napoli: 19 in carcere (tra cui cinque persone già detenute) e due ai domiciliari. Contestualmente sono state eseguite numerose perquisizioni nei confronti di altri indagati ancora in libertà.
Case popolari “gestite” dal clan: 16mila euro per restare nella propria abitazione
Dalle indagini emergono episodi che restituiscono la misura del controllo totale esercitato dal gruppo sul territorio. In particolare, è stato documentato il caso di una donna costretta a pagare 16mila euro per poter continuare ad abitare in un alloggio popolare occupato abusivamente. Una dinamica che, secondo gli investigatori, non sarebbe isolata: la gestione delle case popolari, spiegano, rappresenta uno degli strumenti con cui il clan consolida consenso, influenza scelte elettorali e dimostra potere.
Gratteri: «I cittadini sono ospiti, il clan mette becco in tutto»
Alla conferenza stampa in Procura hanno partecipato il procuratore capo Nicola Gratteri, il procuratore aggiunto Sergio Amato, il comandante provinciale dei carabinieri generale Biagio Storniolo e il tenente colonnello Antonio Bagarolo, comandante del Nucleo investigativo.
Durissimo Gratteri nel descrivere la capacità di penetrazione del clan sul territorio:
«I Licciardi hanno un territorio determinato, come i Mazzarella, in cui i cittadini sono ospiti. In ogni attività — lecita o illecita — devono metterci il becco».
Per il procuratore, la gestione degli alloggi popolari è una forma di ostentazione del potere: decidere a chi assegnare una casa «significa controllare il territorio e, quindi, gestire pacchetti di voti». In questo senso, aggiunge, il controllo sociale è persino più importante «dei soldi delle estorsioni».
Truffe informatiche, usura ed estorsioni: “la tassa” del clan sui proventi illeciti
Oltre al racket tradizionale, l’inchiesta ha accertato che il clan pretendeva la propria parte anche dai ricavi delle truffe informatiche, imponendo una sorta di “tassa” ai gruppi che operavano nel settore. Non solo: più volte gli indagati si sarebbero attivati per recuperare crediti al posto di imprenditori, anche estranei alla criminalità, sfruttando la forza intimidatrice derivante dall’appartenenza al sodalizio.
Il tutto mentre alcuni affiliati avrebbero continuato a gestire attività illecite tramite cellulari utilizzati dal carcere.
Delineati ruoli e organigramma del gruppo
Il lavoro degli inquirenti ha consentito anche di ricostruire l’organigramma interno, i ruoli e le responsabilità dei singoli indagati, consolidando il quadro di una struttura perfettamente radicata e capace di muoversi tra attività tradizionali e nuove forme di racket.
L’indagine, conclude Gratteri, è «importante» perché fotografa l’operatività di «una famiglia di camorra di serie A, che controlla un intero territorio e ne condiziona la vita sociale, economica e politica».