Avellino

Giorgio Faletti lo cantò come «quel fattaccio, di quei ragazzi morti ammazzati, gettati in aria come uno straccio, caduti a terra come persone che han fatto a pezzi con l'esplosivo». È la strage di Capaci. Il 23 maggio 1992 Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta morirono in un attentato devastante progettato dalla mafia. Cinque quintali di tritolo in un canale di scolo hanno fatto saltare un tratto di autostrada che da Punta Raisi porta a Palermo. Oggi come ieri nel cuore e nella mente di Pietro Coppola, sovrintende in forze alla divisione Anticrimine di Avellino, c'e' il ricordo dei primi anni di lavoro, nel 1986 a Palermo, nella scorta del giudice Giovanni. Erano gli anni della lotta a Cosa Nostra in Sicilia.

Io nella scorta di Falcone

“Falcone era un grande uomo, era sempre molto serio, concentrato, ma altrettanto attento e cordiale”. Così Coppola ricorda il giudice Falcone. Dodici mesi di servizio per Coppola, fianco a fianco ad altri colleghi. I suoi primi passi nella polizia in un ruolo importante e di grande responsabilità. Pietro Coppola ieri ad Avellino, in Prefettura, è stato insignito dell'Onorificenza al Merito della Repubblica Italiana.

Il curriculum

Sovrintendente della Polizia di Stato, in servizio dal 1986, è oggi addetto alla Divisione Polizia Anticrimine di Avellino. Una professionalità animata da un indefesso spirito di servizio, attestato dai prestigiosi incarichi ricoperti in carriera. Pregevole è la fattiva collaborazione offerta alle Forze di Polizia per assicurare protezione ad autorevoli personalità istituzionali. E’ stato decorato con Medaglia d’Argento e Medaglia d’Oro al merito di servizio, Lodi ed Encomio Solenne.

Il ringraziamento 

“Oggi ringrazio soprattutto la mia famiglia, che mi ha sopportato e supportato nella mia lunga carriera – spiega -. Penso al giudice Falcone, alla sua compagna, ai colleghi della scorta morti in quella tragedia. Nel 1992 ero lontano, vivevo e lavoravo in Campania, ma, certo, potevo esserci io quel giorno durante quel servizio di quella scorta. Sono stato fortunato, ma penso spesso a quel grande uomo, quel giudice supereroe che, credetemi, era forse più attento a chi lo scortava, che a se stesso. Era attento a noi, premuroso nei nostri confronti, preoccupato per la nostra sicurezza, forse più che per la sua. Molto spesso la mattina quando andavamo a prenderlo a casa era silenzioso, concentrato. Sentiva la grande responsabilità del suo lavoro. Erano giorni duri, di massimo impegno. Con i colleghi di allora imparai ad essere immensamente professionale, li poterò nel cuore fino a quanto smetterò di vivere”.