Genova torna al centro dell’attenzione giudiziaria internazionale con l’operazione “Domino”, che ha portato all’arresto di nove persone accusate di appartenere e finanziare l’organizzazione terroristica Hamas. L’intervento è stato condotto dalla Digos, in raccordo con la Direzione centrale della Polizia di prevenzione, e dai militari della Guardia di finanza di Genova. L’indagine, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo di Genova, ha preso avvio all’indomani dell’attacco del 7 ottobre 2023 attribuito ad Hamas, su impulso della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo. Gli investigatori sono partiti dall’analisi di segnalazioni di operazioni finanziarie sospette, emerse già prima di quella data e riconducibili ad alcuni degli indagati.

Il flusso dei fondi

Secondo quanto accertato, il sistema avrebbe consentito il trasferimento di circa sette milioni di euro verso l’organizzazione terroristica. Le somme venivano raccolte attraverso associazioni benefiche che si presentavano come realtà di solidarietà a sostegno della popolazione palestinese, con sede principale a Genova e filiali operative a Milano. Le indagini hanno però rivelato che oltre il 71 per cento delle donazioni sarebbe stato dirottato per finanziare l’ala militare di Hamas e il sostentamento dei familiari di attentatori e detenuti per terrorismo.

Il ruolo della rete internazionale

Tra gli arrestati figurano soggetti ritenuti appartenenti al comparto estero di Hamas, compreso il presunto leader della cellula italiana e i referenti di alcune articolazioni operative sul territorio nazionale. Altri tre indagati rispondono dell’accusa di concorso esterno in associazione con finalità di terrorismo. È emersa anche l’esistenza di contatti con persone residenti in Turchia, che avrebbero svolto un ruolo di collegamento per il trasferimento dei fondi verso Gaza.

Intercettazioni e documenti

Le intercettazioni raccolte nel corso dell’inchiesta restituiscono un quadro definito dagli inquirenti inquietante, con riferimenti espliciti alla jihad e manifestazioni di compiacimento per gli attentati. Nei server degli indagati sono stati rinvenuti documenti che attesterebbero attività di addestramento militare, iniziative di reclutamento e la celebrazione del cosiddetto martirio, a conferma di una struttura organizzata e ramificata. L’attività investigativa si è sviluppata anche grazie allo scambio informativo con le autorità dei Paesi Bassi e di altri Stati dell’Unione europea, in ambito di cooperazione giudiziaria coordinata da Eurojust. Oltre alle misure cautelari personali, è stato disposto il sequestro di beni per un valore complessivo di circa otto milioni di euro.