C’è qualcosa di profondamente sbagliato nel racconto di queste ore. Mentre la Campania affronta emergenze strutturali che vanno dalla sanità ai trasporti, dal lavoro alla coesione sociale, la politica regionale si avvita in un palleggio infinito di nomi e deleghe. Il presidente Roberto Fico è chiamato a chiudere una partita che, a giudicare dai segnali, sembra interessare più gli addetti ai lavori che i cittadini. E non è un buon segno. Il balletto delle ultime ore comunica una sola cosa: governare può aspettare. L’urgenza non è dare una direzione alla regione, ma sistemare equilibri, pesare correnti, misurare fedeltà. In questo scenario, ogni slittamento non è una debolezza accidentale, ma la fotografia di una priorità rovesciata. Se la politica non riesce a decidere, perché dovrebbe pretendere fiducia?

Bonavitacola come simbolo

La vicenda Fulvio Bonavitacola è emblematica. Non conta tanto la delega, quanto il segnale. Inserire o ridimensionare, includere o neutralizzare: il dibattito ruota attorno a un regolamento di conti interno che parla più al passato che al futuro. E finisce per essere letto come un messaggio a Vincenzo De Luca, non come una scelta nell’interesse della Campania. Le promesse di chiudere “entro sera” o “entro domani mattina” suonano come formule rituali. Il tempo, in realtà, non è il problema. Il problema è l’idea che si ha del potere: non uno strumento per governare, ma una posta da distribuire. In questo quadro, l’insediamento del Consiglio regionale rischia di diventare un atto notarile, non l’avvio di una stagione politica.

Deleghe prima delle idee

Si discute di competenze perché le competenze valgono fondi e leve decisionali. È comprensibile, ma non giustificabile quando manca il racconto di un progetto. Le deleghe diventano il fine, non il mezzo. E così la domanda centrale resta senza risposta: che cosa vuole fare questa giunta per la Campania, oltre a esistere? Persino l’invito a rinviare l’insediamento, che arriva dall’opposizione, mette a nudo il paradosso. Meglio fermarsi che partire male. È una provocazione politica, certo, ma dice molto dello stato delle cose: l’idea stessa di “dare un governo” non è percepita come un’urgenza condivisa.

Governare non è un optional

La verità, scomoda, è che la Campania non può permettersi questo spettacolo. La regione più popolosa del Mezzogiorno non ha bisogno di un toto-assessori permanente, ma di decisioni. Ogni ora spesa a pesare nomi è un’ora sottratta ai problemi reali. Se la politica non sente l’urgenza di governare, allora il problema non è il ritardo della giunta: è la sua ragion d’essere.