Ore 11, primo giorno di scuola per i cinquanta consiglieri regionali. Ma più che un inizio, sembra l’ennesima replica di una commedia stanca. La nuova maggioranza che dovrebbe guidare la Campania arriva al debutto senza una squadra, forse senza una direzione, certamente senza un’idea chiara di governo. Trattative febbrili, convocazioni annullate, rinvii notturni: il copione è quello di una politica inchiodata al bilancino delle correnti, incapace perfino di presentarsi in pubblico con dignità istituzionale. Qui non si discute di sanità, trasporti, lavoro o ambiente. Qui si pesa tutto con la precisione maniacale del farmacista di partito: una poltrona a te, una a me, una al capo, una al capetto. La Giunta regionale diventa un puzzle indecente, non per costruire un progetto, ma per non scontentare nessuno. Il risultato è una maggioranza che nasce già ricattabile, ostaggio dei veti interni, terrorizzata dall’idea di prendere una decisione che non passi dal manuale Cencelli.
Il Pd e la palude delle correnti
Il cuore del problema batte, ancora una volta, dentro il Partito democratico e nella sua galassia allargata. Riunioni convocate e cancellate nel giro di un’ora, nomi che salgono e scendono come titoli in Borsa, equilibri che cambiano a seconda dell’umore dei ras locali. Altro che rinnovamento: siamo davanti alla riproposizione di vecchi schemi, con la differenza che oggi appaiono ancora più logori, più autoreferenziali, più lontani dalla realtà dei territori. L’ipotesi di presentarsi in Consiglio senza una Giunta completa è il simbolo perfetto di questo disastro politico. Formalmente possibile, certo. Politicamente devastante. Significa dire ai campani che la priorità non è governare, ma continuare a trattare. Significa ammettere che il presidente non ha la forza, o la volontà, di imporre una linea. Significa partire in salita scegliendo consapevolmente di inciampare al primo passo. Le caselle più delicate vengono tenute in ostaggio, scambiate come merce pregiata. Il Bilancio diventa terreno di scontro, la presidenza del Consiglio una pedina per blindare alleanze interne, gli assessorati una moneta per sedare malumori. È un mercato rumoroso e opaco, in cui la politica perde ogni residuo di autorevolezza e la Regione Campania viene trattata come un bottino da spartire, non come un’istituzione da guidare.
L’opposizione e lo spettacolo dell’avvilimento
Dall’altra parte, anche l’opposizione assiste a questo teatrino con un misto di attesa e avvilimento. Non per nobiltà istituzionale, ma perché persino chi dovrebbe contrastare la maggioranza resta appeso alle sue indecisioni. Quando il caos è tale da paralizzare anche chi sta fuori, significa che il livello è davvero precipitato. Questa non è una semplice difficoltà di avvio. È un segnale politico chiarissimo. Una maggioranza che nasce così, piegata ai capi e ai capetti, incapace di scegliere senza contare i voti interni, è una maggioranza che governerà male o non governerà affatto. La Campania meritava una partenza forte. Si ritrova invece con una classe dirigente che guarda solo allo specchio delle proprie convenienze. E il conto, come sempre, lo pagheranno i cittadini.