E noi tutti che pensavamo che i capelli grigi fossero un banale segno di vecchiaia, un minaccioso segnale d'allarme prima del decadimento fisico e mentale. In realtà, uno studio giapponese dell'università di Tokyo, dimostra esattamente il contrario e, qualora ve ne fosse stata la necessità, riconosce al processo per lo più fisiologico che lo sottende un valore filogenetico e perfino un insegnamento che sembra andare ben oltre il semplice ambito biologico in cui quello studio è stato realizzato e reso pubblico. La ricerca, condotta dal gruppo della dottoressa Emi Nishimura, della Division of Aging and Regeneration dell'Institute of Medical Science dell'Università di Tokyo, e pubblicata a ottobre scorso sulla ben nota e prestigiosa rivista inglese Nature Cell Biology, in sostanza ci ha informato di qualcosa di semplice e rivoluzionario allo tempo stesso.
Per dirla con un titolo roboante lanciato da www.scienzienotizie.it - "Capelli grigi: un nuovo indice di salute e invecchiamento". Per aggiungere: "Scopri come i capelli grigi possono rivelare informazioni sulla salute cellulare e il rischio di cancro". Roba decisamente affascinante! E in effetti se andate a leggere il pezzo scientifico il fascino resta del tutto immacolato. A cominciare dal titolo originale: "I destini antagonistici delle cellule staminali sotto stress regolano le decisioni tra ingrigimento dei capelli e melanoma". E il sommario (o abstract) - che qui vi propongo nella sua integralità - non è da meno: "L'esposoma, l'esposizione ambientale di un individuo per tutta la vita, ha un impatto profondo sulla salute. I tessuti somatici subiscono un declino funzionale con l'età, mostrando fenotipi caratteristici dell'invecchiamento, tra cui l'ingiallimento dei capelli e il cancro. Tuttavia, le specifiche genotossine, i segnali e i meccanismi cellulari alla base di ciascun fenotipo rimangono in gran parte sconosciuti. Qui riportiamo che le cellule staminali dei melanociti (McSC) e la loro nicchia determinano in modo coordinato il destino delle singole cellule staminali attraverso percorsi antagonistici e reattivi allo stress, a seconda del tipo di danno genotossico subito. Il monitoraggio del destino delle McSC nei topi ha rivelato che le McSC subiscono una differenziazione accoppiata alla senescenza cellulare (seno-differenziazione) in risposta alle rotture del DNA a doppio filamento, con conseguente deplezione selettiva e ingrigimento dei capelli, e una protezione efficace contro il melanoma. Al contrario, gli agenti cancerogeni possono sopprimere la monodifferenziazione delle McSC, anche nelle cellule che presentano rotture a doppio filamento, attivando il metabolismo dell'acido arachidonico e il ligando KIT derivato dalla nicchia, promuovendo così l'autorinnovamento delle McSC. Collettivamente, il destino dei singoli cloni di cellule staminali - espansione rispetto all'esaurimento - governa cumulativamente e antagonisticamente i fenotipi invecchiati attraverso l'interazione con la nicchia".
Chiarito che per nicchia si intende il "microambiente specializzato all'interno dei tessuti, un 'habitat' composto da cellule e molecole che fornisce segnali cruciali per mantenere le cellule staminali indifferenziate, regolarne la proliferazione e guidarne la differenziazione in tipi cellulari specifici, come quelle del sangue o dei neuroni, assicurando il rinnovamento dei tessuti e la risposta alle lesioni", quindi il "primum movens" di ogni trasformazione cellulare, sia essa fisiologica o patologica, appare evidente come l'affascinante studio giapponese, ben lungi dal voler dire che l'incanutimento ci protegge tout court dal melanoma, o meglio (per noi) dal cancro in genere, ci informa - qualora ve ne fosse ancora bisogno - che il corpo umano nella sua perfezione elabora scelte - per lo più protettive - che una volta compiute possono (non debbono necessariamente) essere irreversibili.
Cosa governi la selezione, ora della quiescenza e ora della proliferazione, delle cellule danneggiate nessuno lo sa. Ma sembra che l'ambiente in cui questi accadimenti si realizzano condizioni fortemente la destinazione finale dell'aggregato cellulare in difficoltà.
Escludere cellule potenzialmente dannose per il sistema, non sopprimendole ma trasformandole in qualcosa di innocuo e altamente utile per le comunità cellulari prossime e remote - e tanto i capelli quanto i peli certamente lo sono - dovrebbe insegnare qualcosa anche a chi come noi vive in collettività, dove il fragile o semplicemente il più esposto agli innumerevoli agenti nocivi della vita deve - ripeto deve - essere messo in condizioni di esistere dignitosamente, non solo insieme, ma anche grazie, a chi giovane, forte e sano ancora lo è.