di Paola Iandolo
L'atripaldese Gianluca Moscatiello, respinge le accuse di essere il mandante della spedizione punitiva a calci e pugni nei confronti di un 17enne solo perché aveva “osato” litigare con il figlio. L'ex affiliato del clan Genovese, che per alcuni anni aveva anche collaborato con la giustizia, nel corso degli interrogatori preventivi ha precisato di non essere sul posto in cui il minore è stato picchiato e sequestrato a Torino dove Moscatiello si è trasferito dopo aver scelto di non essere più collaboratore di giustizia.
Al momento Moscatiello - già condannato per associazione a delinquere, ricettazione, riciclaggio e omicidio - è ancora irreperibile e la misura cautelare in carcere emessa nei suoi confronti non è ancora stata eseguita. In manette sono finiti anche suo cugino Pietro Tagliaferri, 54 anni, e i fratelli Alin e Ovidiu Cirpaci, romeni di 42 e 38 anni, considerati i mandanti della spedizione punitiva. Indagato anche il figlio di Moscatiello, sottoposto al divieto di avvicinamento alla persona offesa. Tutti hanno respinto le accuse e chiarito che non vi era alcuna intenzione di sequestrare il minore.
La Squadra mobile della questura li accusa di sequestro di minore (mentre le accuse di minacce e violenza privata sono decadute dopo il ritiro della querela di parte) e ha chiuso il cerchio in nove mesi di indagini dopo aver analizzato messaggi, tabulati telefonici, filmati dei residenti di via Maddalene. Tutto ” inizia alle quattro del mattino dell’8 marzo, davanti alla discoteca Bamboo di corso Moncalieri. Due ragazzi litigano: uno ha 19 anni ed è il figlio di Moscatiello, l’altro 17. In mezzo, una ragazza: ex del primo, nuova relazione del secondo. Dalle parole si passa ai pugni. Il diciannovenne finisce al pronto soccorso dell’ospedale Maria Vittoria con 21 giorni di prognosi, tra contusioni, trauma cranico e una spalla lussata.