Avellino

I dati intermedi di uno studio in fase 3 dimostrano la possibilità che semaglutide possa trovare impiego nella terapia della steatoepatite non alcolica. La risoluzione della malattia è stata ottenuta dopo 72 settimane di trattamento in quasi il 30% dei pazienti in rapporto al placebo. L’esperienza durerà in totale 240 settimane.

Questi risultati sono stati evidenziati dalla rivista scientifica “New England Journal of Medicine”. Semaglutide, agonista del recettore del peptide-1 di tipo glucagone (GLP-1), è un candidato per il trattamento della steatoepatite non alcolica di origine metabolica (MASH). In uno studio di fase 3, multicentrico, randomizzato, in doppio cieco e controllato con placebo, 1197 pazienti affetti da una MASH diagnosticata con biopsia, e con una fibrosi in stadio 2 o 3, sono stati ripartiti secondo una ratio 2:1 per ricevere semaglutide sottocute una volta alla settimana alla dose di 2,4 mg, o un placebo, il tutto durante 240 settimane (circa 4,5 anni). Sono stati pubblicati i risultati di un’analisi intermedia pianificata, realizzata dopo 72 settimane e riguardante gli 800 primi pazienti.

I criteri principali di valutazione erano la risoluzione della steatoepatite senza aggravamento della fibrosi epatica, e la riduzione della fibrosi epatica senza aggravamento della steatoepatite. La risoluzione della steatoepatite senza aggravamento della fibrosi è avvenuta nel 62,9% dei 534 pazienti del gruppo semaglutide e nel 34,3% dei 266 pazienti del gruppo placebo.

Una riduzione della fibrosi epatica senza aggravamento della steatoepatite è stata rapportata nel 36,8% dei pazienti del gruppo semaglutide e nel 22,4% di quelli del gruppo placebo. Per quanto riguarda i criteri secondari una risoluzione combinata della steatoepatite e della fibrosi epatica è stata rapportata nel 32.7% dei pazienti del gruppo semaglutide e nel 16,1% di quelli del gruppo placebo. La variazione media del peso corporeo era di meno 10,5% con semaglutide, e di meno 2% con placebo. 

L'autore è Medico - Endocrinologo