Avellino

 

di Andrea Fantucchio 

Ancora telefonini e droga in cella. Si allarga l'inchiesta della Procura di Avellino. E finisce per coinvolgere anche Ariano Irpino. Era già state sottoposte a indagini quattro persone. Si tratta di affiliati a clan malavitosi napoletani e pugliesi. L'inchiesta è nata da un'ispezione di due settimane fa, nel carcere di Bellizzi ad Avellino. Dove sono stati sequestrati cellulari, schede sim e caricabatterie (leggi l'articolo). Le ispezioni erano state effettuate nella sezione di alta sicurezza. Dove sono detenuti i criminali più pericolosi.  Ieri – nello stessa ala del carcere – è stato rinvenuto un altro telefonino. Era nascosto nella muratura di una cella.

Fra gli indagati c'è un affiliato del clan Strisciuglio. Famiglia di spicco nella malavita pugliese. I membri del clan, come rivelato da un'indagine dell'antimafia, dirottano le attività criminali proprio dal carcere. Estorsioni, traffico di droga, commercio illegali di armi: tutto o quasi si decide dietro le sbarre. Grazie propri a telefonini e altri apparecchi elettronici fatti entrare illegalmente. Spesso con la complicità di amici e parenti.

Così come accaduto nel carcere di Ariano Irpino. Ieri pomeriggio gli agenti hanno intercettato un pacco diretto a un detenuto. All'interno c'era della droga. Oltre tre grammi di hashish nascosti in una confezione di salame affettato. Nel corso di un'altra ispezione è stato sequestrato anche un cellulare. Era nascosto in una cella del nuovo reparto.

A condurre le indagini il pm, Paola Galdo. Gli inquirenti avellinesi sono alla ricerca dei complici. Stanno ricostruendo le modalità con le quali sono stati fatti entrare i cellulari in cella.

Ottopagine.it ha raggiunto a telefono il segretario generale del Sappe (Sindacato autonomo di polizia penitenziaria), Donato Capece. Ha tratteggiato un quadro disastroso per tutti i penitenziari campani.

«Le scoperte dei cellulari in irpinia non possono lasciare indifferenti. Sei cellulari rinvenuti in poche settimane. Alcuni erano in celle occupate da camorristi. Questi episodi sono sintomo di un fallimento degli investimenti fatti nella vigilanza delle carcerii. Sono cancellati i presidi permanenti, in favore di una “vigilanza dinamica” meno efficace», spiega il segretario.

L'assenza di presidi permanenti (24 ore su 24) ha finito per indebolire l'efficacia della Polizia Penitenziaria. Nonostante impegno degli agenti. A peggiorare la situazione gli scarsi investimenti del Governo. Secondo i dati del 2017, la polizia penitenziaria ha subito un drastico taglio di personale. Tutto per effetto della legge Madia. Si è passati da 41.335 unità nel 2013 a 37.181 unità nel 2017. In Campania si sono persi oltre settecento agenti: si è passati infatti da 4.756 a 4.003.

C'è poi un altro problema. Il Ministero ripartisce le unità disponibili per ogni provveditorato territoriale, poi tocca a questo presidio assegnare gli agenti a ogni penitenziario.

«Ma – spiega Capece – con numeri simili per i provveditorati è difficile dividere le unità per ogni istituto (190 in Campania) in modo efficace. Penso a situazioni come il carcere di Salerno: dove abbiamo segnalato più volte episodi emblematici. Tentativi di suicidio o episodi di violenza».

Le carenze di personale sono ancora più emblematiche in carceri dove c'è il maggior numero di detenuti sottoposti al 41 bis. Dove più organico e presidi permanenti sarebbero essenziali.

Come chiarisce anche il segretario nazionale Sappe per la Campania, Emilio Fattorello: «Gli organici della Polizia Penitenziaria, per la Legge Madia, perdono oltre 700 unità a fronte di un sovraffollamento delle carceri. Bisogna intervenire prima che sia troppo tardi».