Avellino, cellulari nelle celle dei boss: due indagati

Oltre ai cellulari, requisiti anche dei caricabatterie. Si indaga per scoprire la provenienza.

Avellino.  

 

di Andrea Fantucchio 

Boss trovati coi cellulari in cella ad Avellino. Cinque giorni fa sono stati sequestrati due telefonini nel penitenziario di Bellizzi. Il pm, Paola Galdo, ha iscritto nel registro degli indagati due detenuti. 

Si tratta di M.G., 28enne, boss di Forcella, finito in manette dopo essere sfuggito a una maxi-retata dei carabinieri che aveva sgominato i gruppi emergenti criminali del centro storico di Napoli. Erano state arrestate 64 persone appartenenti a storiche famiglie  della camorra del centro storico: Giuliano, Sibilio, Brunetti e Amirante. Ma non M.G. che si era costituito giorni dopo. Per lui le accuse di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti e tentato omicidio.

Nella sua cella, oltre a un cellulare, sono stati rinvenuti anche un caricabatterie e una scheda sim. Sulla quale indagano gli inquirenti per ricostruire chiamate e messaggi inviati col cellulare

Un curriculum criminale “importante” anche per l'altro indagato, nonostante la giovane età. Si tratta del 22enne, G.F., di Bari, ritenuto un affiliato del clan malavitoso degli Strisciuglio. Sgominato da un'operazione dei carabinieri a settembre 2017. Sette arresti per associazione mafiosa, traffico di sostanze stupefacenti e detenzione di armi, anche da guerra. Provvedimenti arrivati dopo tre anni di indagini. Fondamentali si sono rivelate le testimonianze dei collaboratori di giustizia che, unite alle intercettazioni, avevano permesso di ricostruire i piani criminali del clan. Mirava a imporre la propria egemonia nei quartieri Libertà, San Paolo e San Pio.

Gran parte dell'attività malavitosa dell'associazione si svolgeva proprio in carcere. Dove – secondo gli investigatori - venivano decise alleanze e business oltre ad alcuni omicidi. Il linguaggio in codice era stato decodificato dagli inquirenti dell'antimafia barese. Gli affiliati fra loro si chiamavano «amore» e «cuore mio».

Nella cella del detenuto, oltre al cellulare, sono stati sequestrati anche un caricatore, una sim card e una batteria.

Ora gli inquirenti di Palazzo De Marsico sono a lavoro per ricostruire come i cellulari siano entrati in carcere.