La decisione del Dipartimento del Commercio statunitense di introdurre un dazio del 107% sulla pasta italiana ha scosso il mondo agricolo e industriale. La misura, che potrebbe entrare in vigore dal 1° gennaio 2026, raddoppierebbe il prezzo del prodotto sul mercato americano, cancellando anni di crescita dell’export e aprendo la strada ai prodotti di imitazione “Italian sounding”. Per Carmine Fusco, commissario regionale della CIA Campania, si tratta di un colpo durissimo alla filiera del grano duro e della pasta, pilastri dell’economia agricola regionale. La Campania, tra le prime in Italia per superficie coltivata a grano duro — oltre 100.000 ettari — alimenta i principali pastifici nazionali con produzioni d’eccellenza provenienti da Benevento, Irpinia, Fortore e Cilento. Un danno all’export significherebbe perdita di reddito per migliaia di famiglie agricole e contraccolpi occupazionali per i 406 pastifici attivi sul territorio.
L’impatto sull’economia e sulla reputazione
Un dazio del 107% annullerebbe la competitività della pasta italiana negli Stati Uniti, primo mercato extraeuropeo con un valore di esportazioni superiore agli 800 milioni di euro nel 2024. L’aumento dei prezzi colpirebbe anche i consumatori americani e favorirebbe i falsi prodotti che sfruttano nomi e simboli italiani. Secondo Fusco, si tratta di una misura protezionistica inaccettabile che minaccia non solo l’economia ma anche l’identità alimentare del Paese. La CIA Campania chiede un’azione rapida del Governo italiano e dell’Unione Europea per scongiurare la misura statunitense. Fusco sollecita un negoziato equilibrato che difenda un prodotto simbolo del Made in Italy e protegga il lavoro dei produttori locali. Difendere la pasta, afferma, significa difendere i campi, gli agricoltori e la storia stessa della Campania.