di Luciano Trapanese
Quando il candidato premier Luigi Di Maio dice che «serve più ricambio nelle organizzazioni sindacali», ha probabilmente ragione. Quando poi aggiunge: «O i sindacati si autoriformano o faremo noi la riforma», esprime un'opinione a dir poco non condivisibile e che è già stata ampiamente criticata.
Ma ha comunque il merito di aprire una discussione. Quella sul ruolo dei sindacati. Che sono un'istituzione fondamentale in una democrazia, ma che in questi anni sono rimasti ancorati al Novecento, strutturalmente analogici. Impegnati a difendere chi ha già diritti acquisiti (statali e pensionati), e del tutto impotenti rispetto alle difficoltà dei giovani assunti con contratti “atipici” e alla piaga sempre più estesa del lavoro nero.
Ha cioè – il sindacato - difeso i più forti e dimenticato i deboli. Che in questo periodo storico sono soprattutto i giovani. I giovani – per intenderci - di oggi e di ieri, quelli che ora hanno 40 anni e vivono di eterno precariato. Quelli che la pensione – se la vedranno – sarà così misera «che è meglio non pensarci». Forse neppure sperarci.
E non solo. I sindacati hanno trascurato – oltre a tanto bla bla bla sperperato in inutili convegni e tavole rotonde – gli effetti del lavoro digitale e dell'automazione. Del domani che bussa alle porte e che trasformerà, e lo sta già facendo (basta guardare l'editoria), l'intera struttura economica del pianeta. Ci saranno meno posti di lavoro, soprattutto quelli di basso livello: cosa farà il sindacato? Come ritiene di tutelare chi resterà escluso?
Ma tornando all'ora. Cosa si sta facendo per quella che una volta era definita la generazione mille euro, e che è diventata – non solo per la crisi – generazione 600 euro (quando va bene)? Per i tanti giovani, e non solo, costretti a lavorare senza tutele per tre euro l'ora (sempre quando va bene)? Cosa si sta facendo per sottrarre i dipendenti dal ricatto tipico di questi anni: te ne vuoi andare?, vai: fuori c'è un esercito di disoccupati che assumo anche a meno.
Ed è vero. Come è vero che è sempre più difficile trovare uno straccio di lavoro.
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Se l'occupazione è ai minimi non è certo colpa del sindacato, ci mancherebbe. Ma la tutela di chi è ai margini, di chi è a rischio sfruttamento e di chi è realmente sfruttato dovrebbe essere compito primario del sindacato. Non che non sia importante trattare anche per il rinnovo dei contratti degli statali o il rispetto dei diritti dei pensionati. Ma quello è un compito tutto sommato semplice (o almeno scontato). Molto più semplice dell'occuparsi di chi è quasi ai margini, in bilico tra un lavoro precario e il nulla.
E dunque, ok, i sindacati si autoriformino da soli. Ma aprano gli occhi su una realtà che è cambiata, radicalmente. Dove ci sono nuovi lavoratori da tutelare. Lavoratori che oggi nuotano in mare aperto, sospesi tra lo sfruttamento selvaggio e la disoccupazione.