"In carcere si muore come è accaduto nelle ultime ore per suicidio a Terni, ma anche di malore improvviso a Gorizia, un detenuto di 30 anni, tossicodipendente, mentre ad Aversa un altro detenuto che tentava di impiccarsi è stato salvato dal pronto intervento del personale penitenziario". A riferirlo è Aldo Di Giacomo, segretario generale del sindacato polizia penitenziaria.
"Il numero delle morti nelle carceri continua a crescere per “altre cause” (69) come sono catalogate burocraticamente e per questo diventa difficile tenere il conteggio esatto dei suicidi, per noi dall’inizio dell’anno sono 31.
Ma dietro “altre cause” ci sono situazioni che fanno pensare al suicidio oppure, come nel caso del giovane detenuto di Gorizia, tossicodipendente, di mancanza di cure ed assistenza adeguate. È semplicemente indegno non individuare in tempi ragionevoli una causa alla morte in cella o successivamente in ospedale, come accade in alcuni casi.
Forse questo sistema può servire ad abbassare il numero dei suicidi per evitare ulteriori allarmi tra i familiari dei detenuti e nell’opinione pubblica più sensibile ma non serve di sicuro a ridimensionare una situazione che si fa sempre più grave.
Ed è certamente indegno che gli accertamenti per le cause di morte negli istituti penitenziari durino all’infinito e in troppi casi senza esito.
All’inciviltà di un Paese che non è in grado di garantire l’incolumità alle persone che ha in custodia si aggiunge quest’ulteriore esempio di inciviltà. Lo abbiamo sottolineato in occasione della mozione approvata in Parlamento e di recenti provvedimenti di Governo e lo ribadiamo: siamo alla riprova della mancata volontà di ammettere un’emergenza prima di tutto sociale limitandosi ad impegnare il governo “a implementare ogni iniziativa utile allo sviluppo dell’esecuzione penale esterna e della giustizia ripartiva mediante investimenti su strutture e personale, nonché modifiche normative.
Una situazione che colpisce in particolare tre categorie di detenuti: quanti hanno problemi psichici, tossicodipendenti ed extracomunitari e inoltre abbassa l’età dei detenuti che si tolgono la vita (età media 35 anni). Sono tutti elementi che richiedono un piano di supporto psicologico con la presenza nelle carceri di psicologi, psichiatri, mediatori culturali, come di interpreti perché la mancanza di comunicazione incide tanto.
Come sindacato abbiamo da tempo proposto l’apertura di uno sportello di aiuto psicologico in ogni struttura e la promozione di attività sociali e lavorative oltre a corsi di formazione e di lingua per gli extracomunitari.
Ma invece l’Amministrazione Penitenziaria continua a concentrarsi sulle “stanze per l’amore”: priorità al cosiddetto diritto all’affettività e non al diritto alla vita. È anche questo - dice Di Giacomo - un segnale della totale confusione ed inadeguatezza che regna nella gestione delle carceri, da lunghi mesi senza il capo del Dap, mentre il personale fa di tutto per prevenire i suicidi - almeno una ventina gli interventi salva-vita solo negli ultimi mesi – e si trova a fronteggiare le aggressioni quotidiane. L’emergenza ha superato il punto limite perché allo Stato è sfuggita di mano".