Avellino

Caposele è un nome che nella geografia dell’acqua suona come una ferita aperta. Qui, tra le montagne irpine, l’acqua sgorga da sorgenti millenarie con la purezza di un bene che dovrebbe essere sacro, destinato a garantire ricchezza, sviluppo e dignità al territorio. Invece, da oltre un secolo, quella stessa acqua attraversa chilometri di condotte per finire altrove: in Puglia, dove viene potabilizzata, distribuita e venduta a milioni di utenti. Non è solidarietà, non è cooperazione tra territori: è un flusso unidirezionale che impoverisce l’Irpinia, trasformando il suo bene più prezioso in profitto per altri.

Un sistema che arricchisce altrove

Le captazioni di Caposele immettono nella rete pugliese una portata media che sfiora i quattromila litri al secondo, in grado di soddisfare il fabbisogno idrico di oltre quattro milioni di persone. L’Acquedotto Pugliese gestisce una rete mastodontica, più di ventimila chilometri di condotte, e ha costruito nel tempo un sistema industriale complesso, moderno, capace di generare ricavi stabili e solidi utili di bilancio. Ma quel flusso continuo nasce e si alimenta in Irpinia, dove i comuni attraversati dalle condotte non ottengono quasi nulla. La risorsa è considerata una concessione gratuita o, nella migliore delle ipotesi, è pagata con compensi irrisori, che non coprono nemmeno i costi di captazione, né i danni ambientali e infrastrutturali causati dal prelievo.

Il prezzo simbolico dell’acqua

Le intese interregionali fissano da anni tariffe di compensazione ridicole, talvolta nell’ordine di pochi centesimi per metro cubo. È un prezzo che insulta il valore reale di una risorsa sempre più scarsa, che richiede manutenzione, salvaguardia e investimenti per restare disponibile. Così, mentre la Puglia rivende a tariffa piena l’acqua irpina, Caposele e l’Irpinia restano con le stesse reti logore, con il sistema Alto Calore sull’orlo del collasso, e con cittadini che pagano bollette tra le più care del Mezzogiorno per un servizio fragile, discontinui e spesso inefficiente.

Il danno invisibile

La gestione dell’acqua, in questo scenario, non è solo questione tecnica: è il simbolo di uno squilibrio di potere. La Campania, incapace di far valere i diritti del territorio sorgente, ha lasciato che la logica dei rapporti politici e dei compromessi istituzionali trasformasse un bene pubblico in una rendita per altri. Le comunità irpine non ricevono compensazioni degne, non hanno voce nei processi decisionali e, paradossalmente, vivono anche crisi idriche locali perché la rete di distribuzione è obsoleta e colabrodo. È l’immagine perfetta di un territorio spogliato della sua ricchezza, costretto ad assistere inerme al suo stesso depauperamento.

La partita che l’Irpinia non gioca

Immaginare un futuro diverso è possibile. Se quella risorsa fosse gestita con una strategia industriale seria, con investimenti mirati e una politica forte, l’Irpinia potrebbe diventare il cuore di un sistema idrico innovativo, capace di produrre valore per il territorio. Microinvasi, reti digitalizzate, sistemi di controllo delle perdite e persino un indotto turistico legato al patrimonio idrico, come avviene altrove, sarebbero alla portata. Eppure, da decenni, la classe dirigente locale rinuncia a giocare questa partita. Si limita a subire, incassando briciole e silenziando ogni protesta con la promessa, mai mantenuta, di rivedere gli accordi. 

Il peso del silenzio

Il risultato è un sistema che arricchisce altrove e impoverisce qui. L’acqua parte dalle sorgenti irpine senza che chi vive in quei luoghi abbia un ritorno reale in termini di sviluppo, infrastrutture o qualità del servizio. È un’ingiustizia che si ripete anno dopo anno, sotto gli occhi di tutti, con la complicità di amministratori e politici che preferiscono il quieto vivere alle battaglie necessarie. E intanto, nelle case dell’entroterra, la pressione cala, i rubinetti restano a secco e le bollette crescono. È il paradosso di una ricchezza naturale che si trasforma in condanna per chi ci vive accanto.

Acqua trafugata: l’Irpinia che disseta e l’Irpinia che paga

Caposele è il cuore silenzioso di un immenso trasferimento idrico. Le sue sorgenti, ancestrali e vitali, alimentano da decenni un flusso costante di risorse che viene fatto scorrere verso la Puglia. Qui, l’acqua viene valorizzata, trasformata in servizio, utilità concreta. In Irpinia, resta una traccia, spesso solo bollette più pesanti e rubinetti incerti.

1. Quanto fluisce veramente da Caposele?

Le fonti irpine forniscono una portata di circa 4.000 litri al secondo grazie alla sorgente Sanità, con ulteriori 2.500 l/s da Cassano Irpino e Montella, per complessivi 6.500 l/s. Un volume impressionante che – moltiplicato per i 31,5 milioni di secondi che compongono un anno – diventa un patrimonio liquido nazionale che parte da qui ma, nella maggior parte, non torna indietro.

2. Investimenti pugliesi contro implosione irpina

Nel 2024, l’Acquedotto Pugliese ha investito 453 milioni di euro, facendo crescere il totale triennale a 1,3 miliardi, in netta controtendenza rispetto alle infrastrutture del suo territorio d’origine. Nello stesso periodo, l’Irpinia vede bollette in aumento, reti che crollano, perdite drammatiche e un Alto Calore sull’orlo del fallimento. Nessun largo investimento, nessun piano di rilancio degno di questo nome.

3. Il prezzo dell’acqua: davvero simbolico?

I compensi attuali per i prelievi idrici — fissati in decine di centesimi al metro cubo — sono irrilevanti rispetto al valore reale della risorsa, al costo dello spreco e al danno strategico. Una cifra simbolica che alimenta un modello di rapina istituzionale, mascherato da accordo.

4. Il paradosso che impoverisce

Dall’acqua generata sul territorio nasce un guadagno altrove. L’Acquedotto Pugliese può crescere, ammodernarsi, digitalizzarsi. In Irpinia, si assiste al silenzio complice di chi, pur governando, ha voltato lo sguardo. Nessuna strategia industriale, nessuna contropartita adeguata, nessuna pianificazione del valore. È la sconfitta di un’idea di comunità, che avrebbe dovuto tutelare il proprio bene più prezioso, invece ceduto a prezzo irrisorio affinché diventasse profitto per altri. La narrazione deve risuonare forte: un territorio che dovrebbe beneficiare dominando la propria risorsa, viene privato di visione, compenso e investimento. È una narrazione di sottrazione, non di condivisione.