Il ricordo dell'artista napoletano a 27 anni dalla scomparsa

Ha portato in scena un'arte antichissima e anche moderna: un Pulcinella del ventesimo secolo

il ricordo dell artista napoletano a 27 anni dalla scomparsa

Articoli a cura di Giuliana Caputo, scrittrice, Antonio Martone, docente di filosofia politica Unisa, Angelo Nenna, appassionato di cinema e teatro:

Impossibile non cedere al fascino di un attore che, qualche decennio fa, ci guardava dallo schermo del televisore. Erano allora gli anni ottanta e il mondo della comunicazione artistica si avviava a diventare patinato, spesso volgare, fatto talvolta di apparenze senza sostanza. Eppure, quel ragazzo smilzo e riccioluto era diverso: due occhi limpidi e sinceri ci avvolgevano di intelligenza, arguzia ed ironia come sa fare soltanto un grande artista del gesto e della parola. Quegli occhi erano ben collocati nel volto di Massimo Troisi. Nel vederli, credo che avranno avvertito una carezza sull’anima milioni di spettatori, ossia coloro che hanno assistito ai suoi spettacoli teatrali e televisivi: dai primi film a quello tragicamente famoso in cui Massimo interpretava Il postino di Neruda.

Per noi, l’arte teatrale e cinematografica di Massimo Troisi si concentra soprattutto nei suoi occhi e nel suo gesto fisico, tanto che più volte lo abbiamo immaginato in un cinema senza sonoro: quello che ha espresso a fondo il talento di Charlie Chaplin. Supponiamo che Troisi stesso, se fosse nato in quella fase storica, avrebbe avuto un successo strepitoso perché, cosi come il grande Charlot, riesce a fare poesia anche soltanto con la mimica e la gestualità. Lungi da me la volontà di  paragonarlo a Chaplin, il quale peraltro ha avuto una sorte ben diversa, di buona salute e di una lunga vita che gli ha consentito di girare centinaia di film e di poter esprimere in modo esauriente la potenza della sua arte. Fortuna purtroppo negata al nostro Massimo. Voglio soltanto dire che la sua vena malinconica unita a una straordinaria vis comica, affonda le radici in un passato tanto presente da costituirci nella nostra identità. L'arte di Troisi è antichissima ma pure assai moderna, anzi  quasi  rivoluzionaria per questo nostro tempo. Massimo ci ha saputo restituire un Pulcinella del ventesimo secolo: una maschera divertente e ironica capace di mettere a nudo il Re. Troisi ha attraversato da protagonista alcuni dei temi fondamentali del mondo contemporaneo: l'amore e la morte, il disagio dei giovani e quello del Mezzogiorno d'Italia, le religioni e le difficili relazioni interpersonali in un mondo ormai preda di un individualismo radicale e corrosivo. Massimo Troisi, in sintesi, ha saputo dare rilievo al silenzio e alle pause, piuttosto che alle voci e  al frastuono del mondo consumistico tipico del capitalismo contemporaneo; alla dolcezza e alla fragilità, più che alla volontà di potenza e all’arrivismo cinico, protagonisti assoluti (nel prima e forse anche nel dopo Covid) di un mondo così povero di emozioni, in cui tutto è, inesorabilmente, direttamente o indirettamente, riconducibile al mercato. 

Eppure, mai come in questo momento, tra il morbo che imperversa (a cui si cerca di rimediare con un'intensa campagna vaccinale) e  la morte di tanti cari amici a causa del virus, o per altre malattie, la scomparsa di personaggi straordinari che hanno fatto la storia artistica, ai massimi livelli, di questo nostro paese, come la cantante e attrice Milva e il musicista, compositore e cantante Franco Battiato, si avverte ancor di più un immenso bisogno di spiritualità e di poesia. In quest’ultimo periodo, tante stelle sono purtroppo scomparse. Certamente, brilleranno per sempre, come la famosa ballerina della Scala, la grande Carla Fracci. Proprio questa signora della danza, regina dei palcoscenici mondiali, non mancava mai di inviare un pensiero a Rosaria, all’amata sorella di Massimo Troisi,  in occasione dell’anniversario della morte del grande artista napoletano, convinta com’era dell'immenso contributo dato da Massimo all'educazione degli animi attraverso la poesia. Per la Fracci, quest'ultima aveva un valore incommensurabile: del resto, la sua stessa danza è stata poesia. Per questo non poteva non amare Massimo. 

Fra gli artisti che abbiamo perso, come non ricordare, in questa pagina, la recentissima scomparsa a 59 anni, di un noto regista irpino, Giambattista Assanti, proprio quando, dopo i primi due film di notevole successo, il suo impegno nel cinema si andava facendo ancora più intenso. Egli aveva, infatti, altre due pellicole in lavorazione: un film sui campi di concentramento, “Il segreto di Hanna”, al quale partecipava Massimo Dapporto, le cui riprese  sono state interrotte dapprima per  la pandemia, poi per il peggioramento delle condizioni fisiche del regista. Assanti, inoltre, aveva in cantiere anche un altro film sui fratelli  Nello e Carlo Rosselli, un lavoro che avrebbe potuto avvalersi della collaborazione dello storico Aldo Spini. Tanti progetti e tante nuove idee da portare avanti che la morte inevitabilmente  ha cancellato. Sarebbe dunque quanto mai giusto e auspicabile un consistente aiuto della Regione Campania, un congruo contributo dello Stato affinché l’impegno di questo regista scomparso, e il duro e appassionato lavoro cui si era dedicato, non vadano dispersi, ma possano essere raccolti magari da altri componenti della sua famiglia al fine di vedere la luce. Un gesto di questo tipo ci sembrerebbe un bel modo di ricordare Massimo Troisi: offrire ai giovani del Sud che mostrano di volersi impegnare la possibilità di costruirsi un futuro per contribuire al progresso del nostro paese. Quanti giovani come Massimo potrebbero emergere? Troisi, in fondo, non era altro che un ragazzo che con grande volontà e  impegno si è affermato nel difficile mondo del cinema, dando lustro a Napoli, alla nostra regione e all’Italia, facendosi conoscere nel mondo intero. Un esempio che potrebbe spingere a scuotersi, a individuare il talento nascosto ma quasi sempre presente in ciascuno, anche quando gli adulti e la stessa scuola non hanno la capacità di riconoscerlo. Conquistare spazi di futuro e lasciare traccia di sé, è l’unico modo per sconfiggere la paura e la morte. Massimo Troisi, come tutti i grandi comici, dunque grandi tragici, lo sapeva. Insieme a lui, dopo di lui, potrebbero essere in tanti a praticare la sua etica e la sua estetica di vita.

Ettore Scola conobbe Massimo Troisi al teatro tenda di Carlo Molfese al piazzale Clodio di Roma. Lui si esibiva con il trio “La Smorfia”,mentre il regista vi si recava spesso per incontrare colleghi o per seguire qualche nuovo talento. Con Massimo fu un vero colpo di fulmine tanto che i due strinsero una buona amicizia e sin da subito iniziarono a parlare di progetti che però non si tradussero, nell’immediato in qualcosa di concreto. Per Ettore fu il figlio maschio che non aveva avuto, un legame padre- giovane figlio che spesso per la maturità di Massimo veniva completamente ribaltato, un rapporto dove saggezza e dipendenza si alternavano. Insieme girarono tre film: Splendor(1988), Che ora è (1989), Il viaggio di Capitan Fracassa(1990).Troisi si sentiva così coccolato dalla regia di Scola tanto da non aver più voglia di tornare dietro la macchina da presa. “ C’è stato un periodo dopo i primi due film , che mi sembrava di non poter più fare cinema se non c’era lui”, dirà in seguito Troisi. Scola gli affiancò Mastroianni creando una nuova coppia del grande schermo e soprattutto un trio di amici nella vita. “ Ci sono state poche cose nella vita che mi hanno fatto così felice. Mi piace essere adottato da persone più adulte, più forti di me, Scola e Mastroianni ne sono la dimostrazione”. Ne” Il viaggio di Capitan Fracassa”, un road-movie ante litteram, ambientato nel ‘600, che fu interamente girato a Cinecittà, nel mitico studio 5, all’epoca il più grande studio di posa di tutta Europa. Nell’opera Troisi tornò a rivestire i panni di Pulcinella, dopo averli lasciati da adolescente negli anni del Centro Teatro Spazio di S. Giorgio a Cremano. Il suo interesse, la sua voglia di sapere, di documentarsi, furono un valore aggiunto al ruolo. Queste caratteristiche facevano di Massimo un vero intellettuale. Il Fracassa di Scola fu l’ultimo film che i due girarono insieme. Avevano in mente un quarto film, che avrebbero girato dopo IL POSTINO, perché stavano troppo bene insieme. Bene come persone, come uomini, che poi per caso si trovano a fare questo lavoro invece di un altro.