Si continua a morire sul lavoro: in Campania due vittime in poche ore

Tragedie a Cancello ed Arnone e Scafati: a perdere la vita due operai

si continua a morire sul lavoro in campania due vittime in poche ore

Non si ferma la terribile conta dei morti sul lavoro in Campania. Nella nostra regione due vittime a distanza di poche ore l'una dall'altra.

Ieri a Cancello ed Arnone, nel casertano, ha perso la vita Raffaele Boemio, 62 anni originario di Afragola. Incastrato nell’impastatrice del cemento, è morto sul ciglio della strada a Cancello ed Arnone, nel casertano. Stava lavorando per una ditta in appalto a Open Fiber quando, per cause sulle quali i carabinieri stanno indagando, è rimasto incastrato con i piedi nel macchinario, che l’ha stritolato.

Nel pomeriggio un'altra tragedia, questa volta a Scafati in provincia di Salerno. La vittima è un giovane operaio di 22 anni, schiacciato dal carico di una carrucola che si è staccato. Stava lavorando in un cantiere edile di via Melchiade.

Fatale il distacco di una lastra d'acciaio, inutili i soccorsi. Sull'incidente indagano i carabinieri.

Sulla vicenda è intervenuto Vincenzo Maio, segretario generale Fillea Cgil Campania: "Siamo ormai a sette morti dal 1 maggio scorso. Un primo maggio all’insegna della sicurezza sui luoghi di lavoro che paradossalmente qui in Campania ha rappresentato un cambio di passo, una recrudescenza senza precedenti. 7 morti in soli 12 giorni lavorativi, una media giornaliera superiore a due. 2 il 2 maggio (1 Lettere e 1 Casalnuovo)– 1 l’8 maggio (Carinaro) – 1 il 14 maggio (Napoli) – 1 il 15 maggio (Castellamare di S.) – 1 il 16 maggio (Cancello ed Arnone) – 1 il 17 maggio (Scafati). 57 e 60 anni il 2 Maggio – 54 anni l’8 maggio – 58 anni il 14 maggio – 28 anni il 15 maggio – 62 anni il 16 maggio – 21 anni quello del 17 maggio. È diventato straziante e umiliante tenere aggiornati anche i dati - scrive Maio . Davanti alle ripetute tragedie familiari anche lo scrivere un comunicato stampa assume una forma di non rispetto, fatto solo perché il silenzio sta diventando talmente assordante che fa tanto, troppo male. Fa male il silenzio delle istituzioni, fa male il silenzio della società civile, fa male il silenzio di questa quotidianità che ormai assorbe e digerisce tutto. Le commemorazioni, purtroppo, non riescono più a scardinare l’assuefazione in cui è piombata l’opinione pubblica e spesso vengo viste come inopportune, chissà se perché non riescono ad incidere sulle dinamiche dei fatti o perché ricordano a tutti i fatti che accadono. Certo è, che se nemmeno i morti riescono a scalfire le sensibilità di tutti noi, beh allora siamo su crinale pericoloso cui sarebbe opportuno e necessario fermarsi e riflettere. Il settore delle costruzioni, almeno qui in Campania, continua a rappresentare quello più esposto, sicuramente non per gli ingenti finanziamenti che hanno investito il settore, ma piuttosto per i carichi di lavoro sempre più asfissianti e pesanti, per la mancata formazione e informazione dei lavoratori nei processi lavorativi, per una sempre più affannosa ricerca di utili di impresa che le aziende spesso scaricano proprio sui lavoratori e sui processi produttivi. Lo Stato, in tutte le sue forme e diramazioni complessivamente, sembra non vedere quanto accade tutti i giorni nel mondo del lavoro. La decadenza culturale, in cui è piombato il Paese Italia, ha raggiunto il livello di guardia oltre il quale c’è solo la barbarie. Quante volte è stato ribadito, anche dalle più alte cariche istituzionali, che la sicurezza non è una procedura, ma una cultura? Ma se così è, allora questa cultura dovrebbe essere assunta e diffusa sin dalle prime fasi di formazione del cittadino, dalle scuole primarie e secondarie prima, per poi essere ulteriormente consolidata nei percorsi formativi e professionalizzanti dopo. Ma la cultura la si costruisce anche parlando di morti sul lavoro, adottando norme che tutelino e proteggano chi è investito da tali sciagure. Casomai emanando norme che penalizzino chi viola sistematicamente procedure e leggi e regolando un mercato del lavoro facilmente accessibile ad aziende e imprenditori che adottano comportamenti a volte delinquenziali. Ma soprattutto sanzionando chi chiude un occhio nell’applicazione delle norme emanate e, perché no, con una legislatura che depuri il mercato del lavoro dagli avventori dell’ultima ora. I lavoratori e il mondo del lavoro oggi sono abbandonati al proprio destino, il crescente numero di infortuni e di morti sul lavoro e per il lavoro ne sono la chiara testimonianza. Gli Istituti preposti al controllo, alle ispezioni e alle visite sui luoghi di lavoro ormai fanno della mancanza di personale un alibi delle proprie inefficienze e responsabilità, al netto delle carenze strutturali a tutti noi ben note. Le amministrazioni locali e regionali fanno della mancanza di fondi, e sotto certi aspetti, soprattutto qui nel mezzogiorno, anch’esse della carenza di personale, le ragioni della impossibilità di intervento, mentre il governo nazionale scarica le proprie responsabilità su chi ha gestito il paese fino ad oggi, ma è evidente a tutti la loro inerzia. Il sistema di impresa punta il dito contro un sistema di regole farraginoso e difficile da applicare, tante sono le procedure in esso contenute, e gli ordini professionali, di qualsiasi ordine e grado, si considerano da sempre parte non integrante di procedure e responsabilità, in quanto a loro spetta la progettazione della sicurezza (?), mentre è colpa di altri se non è correttamente attuata, intanto nella la contesa tra aziende e professionisti il lavoratore paga il conto. La politica, quando va bene, si occupa del tema solo nelle campagne elettorali e il sindacato, troppo spesso impotente di fronte alle tragedie familiari, soprattutto perché le famiglie si chiudono in un rispettabile silenzio a volte, se non sempre, frutto di pressioni aziendali, non riesce da solo a incidere in quella cultura alla sicurezza cui tutti dovremmo tendere. Questo il quadro desolante del tema sicurezza sui luoghi di lavoro a volte accompagnato da esternazioni che rasentano il ridicolo come quando si considera l’infortunio, grave o mortale che sia, un prezzo inevitabile da pagare per alcune tipologie di lavoro o di lavoratori poco inclini al rispetto delle norme. La liberalizzazione dei sub appalti a cascata e per questo incontrollabili, ha aperto ancora di più la porta a procedure poco virtuose e rispettose delle norme di tutela dei lavoratori a partire da quelle sulla sicurezza. Non possiamo permetterci di affidarci alla casualità o al fato, le istituzioni in primis devono assumersi la responsabilità di una più stringente azione di controllo e sanzioni. Le aziende vanno monitorate e certificate sul piano della sicurezza: chi non ha i requisiti necessari deve essere esclusa la settore. Nelle aziende in cui si verificano infortuni gravi o decessi vanno prioritariamente salvaguardati i diritti dei lavoratori coinvolti e degli eredi, anche con il sequestro preventivo dei beni fino alla chiusura dei processi per il giusto indennizzo. È necessario l’introduzione del reato di omicidio sul lavoro, al pari, almeno, di quello previsto per gli omicidi stradali. Così come sembra non più rinviabile la costituzione di una procura speciale per gli infortuni sul lavoro, nonché la responsabilità in solido della committenza. Le istituzioni, le stazioni appaltanti, già in sede di bando di gara, devono dare risalto all’aspetto sicurezza e accettarsi preventivamente della storicità aziendale in tema di infortuni prevedendo criteri di penalizzazioni verso quelle poco virtuose. Infine, va aperta una stagione di collaborazione sinergica con tutti i soggetti in campo, INAIL, INPS, ASL, INL, Forze dell’Ordine, compreso le parti sociali e gli organismi bilaterali ad essi collegati, per raggiungere quanti più luoghi di lavoro possibile dando corpo e gambe alle tante norme emanate e protocolli sottoscritti. Bisogna smetterla di utilizzare la maschera della costernazione ad ogni vita spezzata e indossare quella della responsabilità per evitare che le vite si spezzino ancora".