Il discorso di Napolitano per i 70 anni delle Quattro Giornate

Partirono da Napoli i giorni della riscossa italiana che diedero dignità all’Italia intera

Napoli ha sempre rappresentato una città insofferente agli ordini e ai comandi. Una città tanto amante dei capipopolo quanto impossibile da domare e dominare. Quella partenopea è una città abituata al sangue che ribolle e scorre nelle strade come se fossero vene e arterie che portano linfa ad un cuore che però non si trova. Quando il sangue della città ribolle non c’è potere che tenga. Il ribollire invade le strade, entra nei “vasci” occupa i palazzi e sfocia in quella insurrezione che a Napoli è condizione quotidiana, una rivoluzione continua, una sommossa senza fine. 

In questi giorni ricorre l’anniversario delle Quattro Giornate di Napoli. Era il 27 settembre del 1943 e, dopo l’ennesima retata tedesca, Napoli esplose con la rabbia, la forza e la diginità di sempre. Oltre 500 persone armate scesero nelle strade a partire dal quartiere collinare del Vomero, dando così inizio alla prima liberazione di una metropoli europea dal nazifascismo. Dopo soli quattro giorni Napoli era libera e il primo ottobre del 1943 alle 9:30 i primi carri armati americani potevano entrare in città senza dover sparare neanche un colpo. 

I napoletani con la loro tipica autonomia e la loro insofferenza ai comandi, avevano liberato la città da soli, senza alzare vessilli senza dividersi, lottando con l’unico obiettivo di cacciare gli invasori e di riagguantare finalmente la libertà. 

Personaggi stupendi parteciparono a quella eroica insurrezione, donne come Maddalena Cerasulo della “Lenuccia” che sarà poi dimentica e solo pochi anni fa riscoperta e riconsegnata alla storia dell’Italia repubblicana. Gennarino Capuozzo di soli 11 anni ucciso da una granata tedesca mentre combatteva a Santa Teresa degli Scalzi. Filippo Illuminato di 13 anni ucciso dai tedeschi a piazza Trieste e Trento. Alla fine dell’insurrezione saranno 151 i cittadini caduti combattendo. Una città che ha pagato con il suo sangue per ridare la dignità agli italiani. Quei fieri e gloriosi giorni di fine settembre del 1943 a Napoli rappresentarono la prima vera vittoria della resistenza italiana. Quattro giornate che consegnarono ancora una volta Napoli alla storia come città di libertà e di coraggio. 

Il 28 settembre del 2013, per il settantesimo anniversario di quella fantastica insurrezione, venne in città per le commemorazioni di rito il Presidente della Repubblica italiana. A rendere più profonda e vera quella commemorazione fu il fatto che allora al Quirinale c’era un napoletano che di quelle giornate aveva non solo la memoria ancora viva ma ne aveva fatto un faro nelle sue scelte politiche. Quel napoletano che aveva raggiunto l’istituzione che rappresenta la garanzia democratica della Repubblica, quel giorno pronunciò un discorso che appare attuale ancora oggi, esortando Napoli a svolgere il suo ruolo di rappresentare sempre un esempio di democrazia e di unità nazionale.  

Oggi per la nostra rubrica abbiamo dunque scelto quel discorso che il Presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano tenne in ricordo delle Quattro Giornate di Napoli 

Rivolgo il più cordiale saluto al Sindaco di Napoli, al Presidente della Regione Campania, ai rappresentanti del Parlamento nazionale, a Sua Eminenza l'Arcivescovo di Napoli, al Presidente dell'Anpi, a tutte le Autorità civili e militari e, in particolare, ai graditissimi ospiti, Signori Ambasciatori di Francia, Gran Bretagna e Germania, nostri decisivi partner nella guida dell'Unione europea.
Desidero non far mancare - insieme con l'espressione del mio personale sentimento di partecipazione - la voce dell'istituzione che rappresento in una così significativa occasione per Napoli. Occasione non solo di celebrazione storica, ma di riconoscimento e di omaggio alla città delle Quattro Giornate, e nello stesso tempo di incoraggiamento e di fiducioso appello alle sue forze più vive.
Ho seguito con grande interesse e vivamente apprezzato la ricostruzione e l'analisi che di quello straordinario evento storico ci ha appena dato Guido D'Agostino, con puntualità e finezza interpretativa, lontane da ogni retorica e da ogni approssimazione. Nel 1993, nella ricorrenza del cinquantenario delle Quattro Giornate, ero qui come Presidente della Camera dei Deputati per parlare di quel che fu non solo a Napoli il dopo - 8 settembre 1943. Vivemmo all'indomani dell'armistizio e della fuga del Re e del governo da Roma giornate di vero e proprio "disfacimento della compagine italiana", come scrisse l'eroico Giaime Pintor con parole che volli vent'anni fa ricordare e che anche oggi mi piace citare. Ma da Porta San Paolo a Roma, a Piombino e a Cefalonia, vivemmo in quel settembre anche i primi germi della riscossa: fino all'epopea, appunto, delle Quattro Giornate che fece di Napoli - come D'Agostino ha sottolineato - "la prima metropoli europea a levarsi contro il nazi-fascismo con le sole forze del suo popolo".
Di questo titolo d'onore per l'Italia la Repubblica deve dare sempre pieno riconoscimento a Napoli traendone le ragioni di un rispetto e di una fiducia che Napoli merita. E lo dico non da napoletano che visse da giovanissimo (come ho ricordato di recente commemorando Croce) tutti i travagli della città e del suo popolo nella guerra e nel primo dopoguerra. Dico qui ogni mia parola come rappresentante dell'unità nazionale.
L'unità e il futuro della Repubblica poggiano su un riavvicinamento, nella solidarietà e nella coesione, tra le sue regioni e, vorrei dire, tra le sue capitali del Nord e del Sud. In Italia come d'altronde in Europa, non reggono - oggi meno che mai - rozze contrapposizioni tra un Nord virtuoso e un Sud ridotto a zavorra, a palla di piombo al piede della comunità nazionale e di quella europea. Tutto quel che Napoli e il Mezzogiorno hanno dato al farsi dell'Unità d'Italia e che è riemerso celebrandone il centocinquantenario; e infine quel che le Quattro Giornate hanno significato per l'esempio e l'impulso offerti alla riconquista dell'unità e dell'indipendenza nazionale, ci debbono dare convinta fiducia in quel che di qui può ancora venire - nelle critiche circostanze attuali e nell'incerto prospettarsi del futuro - alla causa comune dell'Italia e dell'Europa.
Napoli e i napoletani non avrebbero potuto dar vita a un moto di riscossa popolare inimmaginabile sulla base dei peggiori stereotipi diffusi contro di loro, se non avessero posseduto in sé esperienze storiche e risorse umane e morali che restano un formidabile potenziale per tutto il paese. Un potenziale da far esprimere attraverso una impietosa e coraggiosa autocritica cui Napoli e il Mezzogiorno non possono sottrarsi e attraverso una mobilitazione per il cambiamento, una mobilitazione collettiva per ardua che appaia, di certo non impossibile e ancor più certamente necessaria, nel senso di una necessità vitale e urgente per la nostra salvezza.
Vorrei concludere citando le parole con cui Benedetto Croce dedicò a Napoli le pagine del suo Diario del 1943-44, quando l'Italia era tagliata in due:
"Alla mia Napoli 
che non ha chiesto né vagheggiato 
autonomie e separatismi
religiosamente fedele
a quella idea dell'unità nazionale
che i suoi uomini del 1799 
propugnarono tra i primi
dedico il diario
di un periodo nel quale
separati di fatto
all'Italia di continuo pensammo
anelando di tornare tutt'uno con lei".
Attingendo a questa ispirazione, a 70 anni dalle quattro giornate, faccia Napoli ancora la sua parte per l'unità, nella democrazia e per la rinascita del Mezzogiorno e della nazione.