Vietare la Caritas: quando Israele decide che anche la solidarietà è un crimine

Una delle organizzazioni umanitarie più riconosciute al mondo, partner delle Nazioni Unite

vietare la caritas quando israele decide che anche la solidarieta e un crimine

C’è un limite che uno Stato può spingersi a superare prima di perdere definitivamente ogni alibi morale

C’è un limite che uno Stato può spingersi a superare prima di perdere definitivamente ogni alibi morale. E quel limite, oggi, il governo israeliano lo ha oltrepassato senza esitazioni, decidendo di mettere al bando perfino la Caritas dalla Striscia di Gaza. Non un gruppo armato, non un partito politico, non una milizia. La Caritas. Una delle organizzazioni umanitarie più riconosciute al mondo, partner delle Nazioni Unite, simbolo di assistenza ai civili in contesti di guerra, fame e catastrofi. Nella lista delle 37 Ong cui Israele ha negato il rinnovo delle autorizzazioni a operare a Gaza e nei Territori occupati figurano Caritas Internationalis e Caritas Jerusalem, insieme a colossi dell’aiuto umanitario come Medici Senza Frontiere, Oxfam, ActionAid, Save the Children. Un elenco che non racconta un problema di sicurezza, ma una precisa strategia politica: svuotare Gaza di testimoni, isolare la popolazione, rendere invisibile la sofferenza. Dietro la nuova procedura di “registrazione” imposta dal governo israeliano si nasconde un meccanismo arbitrario e punitivo: alle Ong viene chiesto di fornire i dati di tutti i collaboratori e di sottostare a criteri ideologici vaghi e discrezionali. Basta una parola, una presa di posizione, un sospetto non circostanziato per essere accusati di “delegittimazione di Israele”, “antisemitismo”, “supporto al terrorismo”. Accuse enormi, usate come clava politica, senza prove, senza trasparenza, senza contraddittorio

Ma le parole, da sole, non bastano più

Il paradosso è tragico: mentre Gaza sprofonda in una crisi umanitaria senza precedenti, con ospedali al collasso, acqua potabile razionata, bambini denutriti e civili intrappolati sotto le bombe, Israele sceglie di chiudere le porte proprio a chi tiene in vita quel poco che resta. Medici Senza Frontiere gestisce circa il 20% dei posti letto ospedalieri nella Striscia e assiste un parto su tre. Caritas garantisce aiuti alimentari, supporto psicologico, assistenza alle famiglie più vulnerabili. Metterli alla porta significa accettare consapevolmente un disastro umanitario. Le giustificazioni ufficiali non reggono. Il portavoce del Ministero per gli Affari della Diaspora ha parlato genericamente di Ong “legate al terrorismo”, senza fornire uno straccio di prova. È una retorica pericolosa, che trasforma chi cura feriti, distribuisce acqua e salva bambini in un nemico politico. È la criminalizzazione sistematica dell’aiuto umanitario. Non a caso, l’Alto Commissario ONU per i diritti umani Volker Türk ha definito questa decisione “oltraggiosa”, mentre l’Unione Europea ha chiarito che la legge israeliana sulle Ong è inapplicabile nella sua forma attuale, perché viola il diritto internazionale umanitario. C’è un ultimo dettaglio che rende questa vicenda ancora più grave: Caritas Jerusalem non è una Ong qualunque, ma una persona giuridica ecclesiastica riconosciuta dallo Stato di Israele attraverso accordi bilaterali con la Santa Sede. Eppure anche questo non è bastato a fermare il tentativo di espulsione. Segno che qui non si sta discutendo di regole amministrative, ma di un messaggio politico brutale: a Gaza non deve entrare nessuno che possa raccontare cosa sta accadendo davvero. Vietare la Caritas non è una misura di sicurezza. È una scelta ideologica. È la decisione di colpire i civili attraverso chi li aiuta. È l’ennesimo passo verso una normalizzazione dell’inaccettabile. Quando uno Stato arriva a considerare la solidarietà un crimine, il problema non sono più le Ong.
Il problema è lo Stato stesso.