Messa di Natale, l'arcivescovo: "La tenerezza ha bisogno di essere coccolata"

L'omelia di Bellandi: "E' una notte diversa da tutte le altre, abitata dalla speranza"

messa di natale l arcivescovo la tenerezza ha bisogno di essere coccolata
Salerno.  

Messa di Natale in Duomo per l'arcivescovo di Salerno-Campagna-Acerno, Andrea Bellandi. Di seguito riportiamo integralmente l'omelia ai fedeli.

"Carissimi fratelli e sorelle,

questa notte è diversa da tutte le altre. È una notte abitata dalla speranza. È una notte che non ha paura del buio, perché il buio è stato visitato dalla luce.

La prima lettura del profeta Isaia ci ha appena annunciato: “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce” (Is 9,1). Le tenebre non indicano esclusivamente il peccato o il male morale, ma anche la stanchezza, la paura, lo smarrimento, la mancanza di senso, la perdita della speranza. Quante tenebre di questo tipo stiamo attraversando anche noi: tenebre a livello personale, familiare, sociale. Tenebre fatte di guerre, di violenze, di solitudini silenziose, di ingiustizie, di povertà che si allarga. Tenebre che spesso non fanno rumore, ma pesano sul cuore. Eppure, proprio lì, una luce è sorta. Quale luce?

Isaia annuncia profeticamente: "Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio". La soluzione di Dio alle tenebre del male non è inviare un esercito che metta a posto le cose, non è emanare un’ulteriore legge illusoriamente risolutiva, non è “mostrare i muscoli”. È la nascita di un bambino, è inviare suo Figlio. Dio risponde alla complessità del male con la semplicità di una nascita, la cui luce non cancella magicamente i problemi ma offre, da una parte, il senso e la direzione per attraversarli; dall’altra, sollecita tutti – e in primis noi cristiani – ad una responsabilità non delegabile. La nascita di Gesù è la vera novità che permette ogni anno di rinascere dentro, di trovare in Lui la forza per affrontare ogni prova. Sì, perché la sua nascita è per noi: per me, per te, per ciascuno di noi.

Il Vangelo di Luca ci porta a Betlemme, ma ci spiazza. Ci aspetteremmo una reggia, troviamo una mangiatoia. Ci aspetteremmo i potenti, troviamo i pastori, gli ultimi della terra. Il segno che l'angelo dà ai pastori è sconcertante: "Troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia". Niente di straordinario, all'apparenza. Eppure, in quella fragilità risiede l'onnipotenza dell'Amore. Dio si fa piccolo per non spaventarci, si fa povero per non umiliarci, si fa prossimo per non lasciarci soli.

Il Vangelo insiste sul contrasto tra la grandezza di ciò che avviene (“oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore”) e la piccolezza del come avviene (“un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”). Papa Francesco, le cui omelie del Natale erano particolarmente commoventi, una volta aveva così commentato (permettetemi questa citazione un po’ ampia): «Lasciamoci attraversare da questo scandaloso stupore. Colui che abbraccia l’universo ha bisogno di essere tenuto in braccio. Lui, che ha fatto il sole, deve essere scaldato.

La tenerezza in persona ha bisogno di essere coccolata. L’amore infinito ha un cuore minuscolo, che emette lievi battiti. La Parola eterna è infante, cioè incapace di parlare. Il Pane della vita deve essere nutrito. Il creatore del mondo è senza dimora. Oggi tutto si ribalta: Dio viene al mondo piccolo. La sua grandezza si offre nella piccolezza. E noi – chiediamoci – sappiamo accogliere questa via di Dio? È la sfida di Natale: Dio si rivela, ma gli uomini non lo capiscono. Lui si fa piccolo agli occhi del mondo e noi continuiamo a ricercare la grandezza secondo il mondo, magari persino in nome suo. Dio si abbassa e noi vogliamo salire sul piedistallo. L’Altissimo indica l’umiltà e noi pretendiamo di apparire. Dio va in cerca dei pastori, degli invisibili; noi cerchiamo visibilità, farci vedere. Gesù nasce per servire e noi passiamo gli anni a inseguire il successo. Dio non ricerca forza e potere, domanda tenerezza e piccolezza interiore. Ecco che cosa chiedere a Gesù per Natale: la grazia della piccolezza. “Signore, insegnaci ad amare la piccolezza. Aiutaci a capire che è la via per la vera grandezza”». Così papa Francesco.

Questo vale per ciascuno di noi, vale per i rapporti sociali e di lavoro, vale per chi ha delle responsabilità nei vari campi, vale in primis soprattutto per una Chiesa che voglia assomigliare al suo Signore. Papa Leone, in Turchia, ha richiamato il valore spirituale della piccolezza: «Questa logica della piccolezza è la vera forza della Chiesa. Essa, infatti, non risiede nelle sue risorse e nelle sue strutture, né i frutti della sua missione derivano dal consenso numerico, dalla potenza economica o dalla rilevanza sociale. La Chiesa, al contrario, vive della luce dell’Agnello e, radunata attorno a Lui, è sospinta per le strade del mondo dalla potenza dello Spirito Santo».

Dio ama la piccolezza. I primi a ricevere l’annuncio non sono i potenti, ma i pastori. Uomini che vivevano ai margini, considerati impuri, inaffidabili. A loro è detto: “Oggi, per voi”. Non per qualcuno in generale. Per voi. Il Natale comincia sempre così: quando qualcuno scopre che Dio è nato per lui. E questo è il cuore della nostra speranza. La speranza cristiana non nasce dal fatto che tutto andrà sempre bene, ma dal fatto che Dio è con noi, anche quando le cose non vanno bene. La speranza non è un ottimismo ingenuo, bensì una fiducia ostinata: Dio è entrato nella nostra notte e non se n’è più andato. È già accaduto. La speranza non è una promessa vaga, è un fatto presente.

Questa notte di Natale giunge per noi anche come sigillo e compimento del Giubileo sulla speranza che stiamo concludendo. Un anno in cui ci è stato chiesto di riscoprire che la speranza cristiana non è un sentimento o una capacità, ma anzitutto una persona cui affidarsi: Gesù Cristo. Il Giubileo ci ha anche ricordato che siamo pellegrini, non proprietari della speranza. La speranza si riceve, si custodisce e si trasmette. La speranza – ha detto ancora Papa Leone - è “generativa”: «è una virtù teologale, cioè una forza di Dio, e come tale genera, non uccide ma fa nascere e rinascere. [...] Dio genera sempre, Dio crea ancora, e noi possiamo generare con Lui, nella speranza. La storia è nelle mani di Dio e di chi spera in Lui». 

Stanotte, mentre gli angeli cantano “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini”, chiediamo una grazia semplice e grande: accogliere con semplicità e gioia questo Bambino, custodire la speranza, e portarla con gesti concreti nelle notti degli altri. Perché davvero, anche oggi, è nato per noi un Salvatore. E questa è la nostra gioia. Questa è la nostra pace. Questa è la nostra speranza. Amen".