Lo sguardo "fuori misura" di Emilia Bersabea Cirillo

Intervista alla scrittrice avellinese

Avellino.  

“Scrivere racconti è un po’ come fotografare, imprimere in se stessi istantanee su cui tornare e lavorare, riproducendo in parole e fatti lo shock che si è provato la prima volta”scriveva Flannery O’Connor ne “Il Territorio del diavolo”, e così appare l’orizzonte narrativo di una delle più interessanti e apprezzate scrittrici italiane (e irpine): Emilia Bersabea Cirillo. Sarà per il suo stile raffinato e il suo sguardo “fuori misura”  (come il titolo del suo blog: https://fuorimisura.wordpress.com/ ),  sarà per la sua attenzione all’universo femminile(ma non solo) e alle proprie radici,  i racconti della Cirillo sono densi di  vita quotidiana, distillati di emozioni e di tutti quei “particolari che danno consistenza alla narrazione”   Architetto, vive e lavora ad Avellino.  “Fragole” , “Il Pane e l’argilla”,  “Fuori misura”  “Una terra spaccata” , “Gli incendi del tempo “ e“Le zampe dei gatti hanno cinquant’anni” - scritto a sei mani con Fiorella Bruno e Rosa Di Zeo – sono solo alcuni titoli a cui la Cirillo ha dato vita.

 

Cosa ha in comune il mestiere di architetto con quello di scrittrice?

La procedura per arrivare ad una forma finita: l’idea iniziale che si verifica mediante schizzi, in architettura, e scaletta, nella scrittura; la stesura vera e propria, che è un andare e venire di verifiche, in architettura e verosimiglianza, nella scrittura, ( si tiene, funziona?), la pulizia finale, che è levare, levare sempre il superfluo, l’orpello, il “capitelletto barocchetto” in architettura, il capitolo, il periodo, la frase che non suona. Il prodotto finito deve essere, per lo più, armonico, nella misura, nei rapporti, in architettura, nello stile e nella voce, nella scrittura.

 

Quando hai cominciato a scrivere e perché?

Ho cominciato a scrivere qualche anno dopo che ho cominciato a leggere, verso i tredici anni, ma è leggere tanto che mi ha appassionato, sempre. Leggere è una maniera per capire la vita degli altri,  e per capire i meccanismi della scrittura.

 

Che significato ha per te la scrittura?

Raccontare mondi, esistenze che mi colpiscono, voci che mi attraversano, gesti che rivelano forza, debolezze, insicurezze. Raccontare un’Irpinia per quello che è, sotto i nostri occhi, senza celebrare terre di mezzo da favola, in cui sono accadute chissà che cosa. Raccontare un luogo e le piccole vite di un luogo interno del Sud, la vita di ogni giorno, così uguale, così diversa, raccontare i sentimenti, parola abusata, i sentimenti, il sentire, quello che è sotto i nostri occhi e che scompare, perché tanto uguale a quello che ci passa accanto. Scrivere aiuta a vedere, ma dopo, quando tutto il lavoro è finito. Prima si sta come un po’ intontiti, o forse ossessionati dalla storia nella quale siamo imbozzolati.

 

Quali sono stati i  tuoi punti di riferimento letterari?

 Sarebbe lungo: Pavese, Woolf, Mansfield, Faulkner, Alice Munro, Antonia Byatt, Amos Oz,  Elisabeth  Strout e tanti scrittori svedesi, come Lars Gustafsson, Leena Lander, Torgny Lindgren.

 

Nei tuoi racconti è forte il legame con Avellino e l'Irpinia, secondo te cosa c'è e cosa manca ancora?

Hai una domanda di riserva? Parlando del libro di Generoso Picone, Matria, ho scritto che in Irpinia, ma soprattutto ad Avellino, è mancata la “committenza di un sogno”. Ecco, credo che si fanno tanti sforzi per uscire dal torpore, che ci sono tante valide associazioni culturali, e non solo,  ma manca una vera regia di comando, che accordi e finanzi i veri progetti.

 

Qual è stato Il tuo libro più sofferto?

Quello che esce a marzo 2016 con L’Iguana editrice di Verona: “Non smetto di aver freddo”, un romanzo che ho scritto e riscritto per sette anni.

 

Quello più divertente?

La raccolta di racconti “Fuori Misura”, Diabasis 2001, che vinse il Premio Chiara. Otto racconti sul corpo.

 

Hai progetti nell’immediato?

Sto scrivendo un altro romanzo. Ambientato proprio e solo ad Avellino. E troppo presto per parlarne.Ad ottobre riprenderemo con Anna Catapano e l’Associazione Animarte  la scuola di scrittura “Parole tra noi leggere”, perché la lettura viene sempre prima di ogni scrittura. Diceva Faulkner: «Leggere, leggere, leggere. Leggere tutto – robaccia, classici, buoni e cattivi, e vedere come fanno. Come un falegname che lavora come apprendista e studia il maestro. Leggete! Assorbirete. Poi scrivete. Se è buono lo vedrete. Se non lo è, buttate tutto dalla finestra».   

Marina Brancato