30 anni, faccia da ragazzino, occhialino un po' nerd: uno come Giacomo Simone lo immagineresti dietro a tre quattro monitor, tra siti di smanettoni e linguaggi di programmazione più che in una cantina. E probabilmente all'inizio si immaginava anche lui così: ha studiato ingegneria informatica, è stato all'estero per seguire questa passione. Poi, l'immagine di tramonti, filari e vigne che aveva a casa sua ha avuto la meglio, forse era un trojan che aveva già dentro, e ha lasciato microprocessori e chip per dedicarsi al vino, ha aperto una cantina che porta il suo nome “Simone Giacomo” e si è messo a produrre vini: un aglianico naturale e biologico, una barbera da leccarsi i baffi e poi rosati, bianchi e altro ancora da venire.
“Ma non lasciatevi ingannare dal clichè romantico del ragazzo che lascia gli studi per fare lo zappatore – avverte Giacomo che il fatto suo lo sa – oggi per produrre e vendere vino serve studiare come e forse di più di quando si va all'Università”.
In un mondo e in un territorio con produttori affermati Giacomo è entrato con la voglia di stupire, anche grazie ad Angelo Melillo, enologo ma anche una sorta di “talent scout” del vino, in grado di osare, di tirar fuori nuovi concetti di vino (vedere la “Barberosa”, una barbera rosè che come intuizione è pari a Mertens centravanti di Sarri).
E per chi è giovane, ha studiato e ha visto il mondo l'Irpinia non è certo un concorrente: “Anzi, è un esempio, e gli esempi bisogna coglierli. Non credo nel concetto di sfida e non mi convince neppure l'idea di replicare totalmente un modello anche se è stato vincente: bisogna coglierne gli spunti, se positivi, e adattarli laddove tu vai a produrre vino, perché la tipicità, l'unicità te la dà il territorio, c'è poco da fare”.
E con la freschezza della sua giovane età ed i concetti di chi va oltre campanilismi a volte sterili Giacomo non esita a identificare quelli che sono ancora gli ostacoli da rimuovere: “Innanzitutto si deve ragionare insieme come territorio, non guardando alle singole aziende, altrimenti non cresceremo mai. Oggi bisogna guardare a ciò che succede nel mondo: si beve meno, ma si beve meglio, perciò la scelta obbligatoria è puntare su una qualità sostenibile. E poi valorizzare il territorio: vanno superati limiti infrastrutturali e incentivato il nome del Sannio, finora troppo poco conosciuto, credendoci”. Come ci ha creduto chi a 30 anni ha scelto di cambiar vita per quel territorio.