di Andrea Fantucchio
Dopo cinque anni e sei mesi si è chiuso il processo sulla trattativa fra Stato e Mafia teorizzata dalla Procura palermitana. Sono stati condannati a dodici anni gli ex generali Antonio Subranni e Mario Mori, l'ex senatore Marcello Dell'Utri, 8 anni per per l'ex colonnello Giuseppe De Donno. Assolto l'ex ministro Nicola Mancino accusato di falsa testimonianza. Ventotto anni per il boss Leoluca Bagarella.
Il verdetto della Corte d’assise di Palermo presieduta da Alfredo Montalto (giudice a latere Stefania Brambille) è arrivato dopo cinque giorni di camera di consiglio. Il processo nasce da un’indagine sulle stragi del 1992-1993, segnate dagli attentati ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e poi a diversi fatti di sangue registrati fra Roma, Milano e Firenze.
Per i pubblici ministeri Nino Di Matteo, Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia e Vittorio Teresi, negli anni contestati lo Stato avrebbe trattato con Cosa nostra conl’intenzione di bloccare gli attentati ai vertici delle istituzioni, ma per l’accusa gli ufficiali dell’Arma avrebbero finito per diventare degli “ambasciatori dei capi mafiosi”, veicolando i loro messaggi.
Le motivazioni della sentenza arriveranno fra novanta giorni.
La prima trattativa
I carabinieri dei Ros avrebbero avviato una trattativa con l’ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino, che avrebbe consegnato il famoso “papello” con le richieste dell‘allora vertice di Cosa Nostra, Totò Riina per fermare le stragi. Addebiti negati dai diretti interessati. Mori ha negato anche di avere incontrato l'ex sindaco mafioso prima della strage del magistrato Paolo Borsellino. Borsellino, i primi contatti sarebbero stati tenuti da De Donno. La procura riteneva diversamente.
L'accusa a Mancino nasce dalle parole dell’allora ministro della Giustizia Claudio Martelli che ha dichiarato di essersi lamentato con l'ex Mancino per il comportamento del Ros che avrebbero trattato con Ciancimino. L’ex Ministro dell’Interno ha sempre negato che vi fossero stati quei colloqui.
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