Liliana Segre: "Porto sul braccio il numero di Auschwitz"

Ho il compito di ricordare, ma anche di dare la parola a coloro che 80 anni fa non la ebbero

L’umanità ha i suoi anticorpi, un bagaglio di memorie, di ricordi, di racconti che dovrebbero servire a non ripetere gli orrori già commessi. Anticorpi rappresentati in prima linea dai sopravvissuti a quegli orrori, da coloro che per lo scherzo del destino o per un disegno superiore, hanno vinto l’orrore umano e hanno il compito anche involontario e non scritto di dover ricordare, di dover raccontare, di dover costringere ogni essere umano a fare i conti con la propria storia. 

Liliana Segre oggi è una donna con il viso tipico delle nonne dolci e piene di storie da raccontare. La sua di storia ha deciso di raccontarla e ha dentro un dolore e una sofferenza che devono servire come monito ad ogni essere umano. Nel dicembre del 1943, a soli 13 anni la piccola Liliana venne arrestata perché con il padre stava provando a fuggire a Lugano in Svizzera. Tempi duri, la guerra stava distruggendo l’Europa, l’Italia era devastata e dal 1938 con le leggi razziali gli ebrei venivano perseguitati. Liliana è ebrea, sarà deportata ad Auschwitz nel gennaio del 1994, le tatueranno sull’avambraccio il numero di matricola 75190, le rimarrà a vita sulla pelle come l’orrore le rimarrà per sempre nell’animo. Dei 776 bambini italiani di età inferiore ai 14 anni che furono deportati ad Auschwitz, Liliana fu tra i 25 sopravvissuti. 

Questa donna è una delle poche testimoni rimaste in vita. Oggi, per scelta del Presidente Mattarella, Liliana Segre è Senatrice a vita, il suo coraggio, il suo animo, il suo ricordo e la sua parola l’hanno resa un simbolo della lotta al razzismo. La sua capacità di ricordare e di smuovere le coscienze l’hanno trasformata in un argine fisico alla deriva nazionalista e xenofoba che sta invadendo nuovamente l’Europa.
Dal 7 novembre scorso Liliana Segre vive sotto scorta, le minacce sui social e le invettive continue l’hanno resa ancora una volta un obiettivo, un simbolo da cancellare
Oggi che il razzismo sembra essere tornato in circolo, oggi che l’intolleranza è diventata la normalità, oggi che il linguaggio del dibattito pubblico e istituzionale è un continuo susseguirsi di offese cariche di odio, oggi che tutto sembra essere concesso, le parole della Senatrice Liliana Segre sono un anticorpo che custodisce e fa rivivere i valori della costituzione italiana. 

Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, colleghi senatori, prendendo la parola per la prima volta in quest’Aula non possa fare a meno di rivolgere innanzitutto un ringraziamento al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il quale ha deciso di ricordare l’ottantesimo anniversario dell’emanazione delle leggi razziali, razziste, del 1938 facendo una scelta sorprendente: nominando quale senatrice a vita una vecchia signora, una persona tra le pochissime ancora viventi in Italia che porta sul braccio il numero di Auschwitz.
Porta sul braccio il numero di Auschwitz e ha il compito non solo di ricordare, ma anche di dare, in qualche modo, la parola a coloro che ottant’anni or sono non la ebbero; a quelle migliaia di italiani, 40.000 circa, appartenenti alla piccola minoranza ebraica, che subirono l’umiliazione di essere espulsi dalle scuole, dalle professioni, dalla società, quella persecuzione che preparò la shoah italiana del 1943-1945, che purtroppo fu un crimine anche italiano, del fascismo italiano.ù
Soprattutto, si dovrebbe dare idealmente la parola a quei tanti che, a differenza di me, non sono tornati dai campi di sterminio, che sono stati uccisi per la sola colpa di essere nati, che non hanno tomba, che sono cenere nel vento. Salvarli dall’oblio non significa soltanto onorare un debito storico verso quei nostri concittadini di allora, ma anche aiutare gli italiani di oggi a respingere la tentazione dell’indifferenza verso le ingiustizie e le sofferenze che ci circondano.  A non anestetizzare le coscienze, a essere più vigili, più avvertiti della responsabilità che ciascuno ha verso gli altri.
In quei campi di sterminio altre minoranze, oltre agli ebrei, vennero annientate. Tra queste voglio ricordare oggi gli appartenenti alle popolazioni rom e sinti, che inizialmente suscitarono la nostra invidia di prigioniere perché nelle loro baracche le famiglie erano lasciate unite; ma presto all’invidia seguì l’orrore, perché una notte furono portati tutti al gas e il giorno dopo in quelle baracche vuote regnava un silenzio spettrale.
Per questo accolgo con grande convinzione l’appello che mi ha rivolto oggi su «la Repubblica» il professor Melloni. Mi rifiuto di pensare che oggi la nostra civiltà democratica possa essere sporcata da progetti di leggi speciali contro i popoli nomadi. Se dovesse accadere, mi opporrò con tutte le energie che mi restano. Mi accingo a svolgere il mandato di senatrice ben conscia della mia totale inesperienza politica e confidando molto nella pazienza che tutti loro vorranno usare nei confronti di un’anziana nonna, come sono io. Tenterò di dare un modesto contributo all’attività parlamentare traendo ispirazione da ciò che ho imparato. Ho conosciuto la condizione di clandestina e di richiedente asilo; ho conosciuto il carcere; ho conosciuto il lavoro operaio, essendo stata manodopera schiava minorile in una fabbrica satellite del campo di sterminio. Non avendo mai avuto appartenenze di partito, svolgerò la mia attività di senatrice senza legami di schieramento politico e rispondendo solo alla mia coscienza.
Una sola obbedienza mi guiderà: la fedeltà ai vitali principi ed ai programmi avanzatissimi – ancora in larga parte inattuati – dettati dalla Costituzione repubblicana. Con questo spirito, ritengo che la scelta più coerente con le motivazioni della mia nomina a senatrice a vita sia quella di optare oggi per un voto di astensione sulla fiducia al Governo.
Valuterò volta per volta le proposte e le scelte del Governo, senza alcun pregiudizio, e mi schiererò pensando all’interesse del popolo italiano e tenendo fede ai valori che mi hanno guidata in tutta la vita.