1973 Moro, il Cile e il compromesso storico

Il discorso con cui l’allora ministro degli Esteri condanna il golpe di Pinochet

1973 moro il cile e il compromesso storico

Ci sono momenti che hanno cambiato la storia dell’umanità. Fatti accaduti in un angolo del mondo che hanno sconvolto e segnato il destino di popoli che vivono in angoli diametralmente opposti. Ci sono eventi storici che hanno una carica di trasformazione che supera la loro vicenda locale, eventi che rappresentano degli spartiacque per la storia del mondo. 

L’11 settembre del 1973, il governo cileno di Salvador Allende democraticamente eletto viene rovesciato da un violentissimo golpe messo in piedi dagli Stati Uniti e che porterà al potere Pinochet e i suoi Chicago Boys, pronti a cancellare il socialismo democratico di Allende e applicare il neoliberismo come dottrina di fede. Quel golpe rende chiaro a tutti i paesi nell’orbita occidentale che i partiti di sinistra non possono arrivare al potere, sicuramente non da soli, altrimenti vengono spazzati via. Sono gli anni in cui in Italia esiste la Gladio, ci sono piani di destabilizzazione utili invece a saldare e stabilizzare il potere accondiscendente che governa il Paese dal dopoguerra. Sono gli anni delle bombe di Stato, dei servizi segreti deviati, dei piani internazionali che sull’Italia intervengono e decidono. Sono anni che resteranno impregnati del sangue delle vittime innocenti di quella guerra irregolare che prenderà il nome di “strategia della tensione”. 

Proprio in quel 1973 siede sulla poltrona di ministro degli Esteri Aldo Moro. Un uomo che non è mai stato nelle grazie degli americani. Un uomo che ha iniziato a capire quanto fosse importante portare il Partito Comunista Italiano fuori dal sogno della rivoluzione e dentro il sistema non solo parlamentare ma di governo. Un uomo che ha pagato con la vita proprio l’idea che la democrazia deve essere “un’alternativa alla rivoluzione” e non “un alibi per la stagnazione sociale”.

Sulle questioni del Cile, su quel sogno spezzato dalla violenza di un golpe, si saldano le fondamenta di quel tentativo storicamente innovativo che è il compromesso storico. 
Nasce, infatti proprio a partire dal 1973, la possibilità di una collaborazione di quelle due forze, la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista, che insieme avevano liberato l’Italia dal nazifascimo. Nasce qui un tentativo portato avanti da due uomini che oggi rappresentano i due volti migliori della politica italiana, Moro e Berlinguer. Nasce da questo discorso che Aldo Moro, da ministro degli Esteri, tiene il 26 settembre del 1973, esattamente 47 anni fa, alla Camera. Un discorso chiaro che vede nella via democratica l’unica alternativa per il pianeta. Aldo Moro sarà definito, in maniera sprezzante, da Ugo La Malfa “l’Allende italiano”. Come Allende, anche Moro pagherà con la vita la voglia di realizzare un sogno politico. il leader democrisitano sarà ucciso dalle Brigate Rosse in uno dei passaggi più oscuri della storia repubblicana italiana. Il discorso di oggi ha tutta la carica di un vero democratico che con forza rivendica l’importanza della libertà e dei diritti. 

Onorevoli colleghi, il Governo ha seguito sin dall’inizio con la più viva preoccupazione ed attenzione i drammatici avvenimenti che hanno fatto seguito alla rivolta delle forze militari cilene contro il governo costituzionale presieduto da Salvador Allende.
Non si tratta solo di un problema relativo ai rapporti internazionali, i quali pure sono turbati in modo rilevante da vicende come questa, ma anche di un fatto che tocca la nostra coscienza civile e la nostra sensibilità morale.
Esprimo ancora una volta in questa sede, a nome del Governo, il senso di profondo cordoglio per la tragica scomparsa del presidente cileno e mi inchino con il più grande rispetto dinanzi ad un uomo che avendo testimoniato con fermezza, fino al sacrificio della vita, la  sua fede nella libertà e nel progresso del suo popolo, resta in una posizione estremamente significativa ed onorevole nella tormentata storia del continente sudamericano.
In un comunicato emanato dalla Farnesina il 13 settembre il Governo ha subito espresso la sua condanna per la violazione dei principi della democrazia, per la rottura della legalità costituzionale e per l’inammissibile ri- corso alla violenza come strumento di lotta politica, formulando al tempo stesso l’augurio di un pronto ristabilimento dell’assetto democratico, che è del resto profondamente ra- dicato nelle tradizioni di quel paese.
Nello stesso tempo è stata cura del Governo raccogliere informazioni, quanto più accurate possibili, sugli sviluppi in Cile e sulla situazione dei nostri connazionali. I1 giorno 15 è stato possibile ristabilire il contatto con la nostra rappresentanza diplomatica a Santiago. Siamo stati così informati che la nostra collettività, per quanto è dato di accertare, non ha sofferto in seguito agli scontri a fuoco verificatisi in quel paese. Essa è composta da circa 25 mila persone. Si tratta per lo più di imprenditori industriali, commercianti ed agricoltori, ormai saldamente insediati, i quali hanno fattivamente contribuito allo sviluppo del Cile.
Se abbiamo appreso con sollievo che le vicende di questi giorni non hanno causato vittime tra i nostri emigrati, purtroppo ci viene confermato che gli scontri sono stati intensi ed il numero dei morti e dei feriti - benché non sia possibile valutarlo con precisione - elevato.
Queste notizie hanno indotto il Governo a diramare, attraverso il Ministero degli affari esteri, un appello alle autorità cilene, affinché, nella coscienza delle loro responsabilità, per ragioni politiche ed umanitarie insieme, rinunzino ad atti di repressione e di violenza che aggraverebbero ulteriormente le condizioni del paese, rendendo assai più difficile l’avvio alla conciliazione nazionale ed il ritorno alla normalità costituzionale.
Sia prima, sia dopo questo appello, è stata da noi svolta un’azione a tal fine, avvalendoci di ogni canale disponibile, tenuto conto che, non avendo fin qui diretti rapporti con l’autorità cilena, le nostre possibilità di influenza sono ridotte.
Abbiamo così sollecitato governi amici, particolarmente quelli dei paesi membri della comunità europea, a farsi interpreti di senti- menti analoghi a quelli da noi espressi. Prese di posizione in tal senso sono già venute da parte della Repubblica federale di Germania, dell’Olanda e della Danimarca.
Il Governo italiano ha inoltre fatto compiere dal rappresentante permanente presso I’ONU un passo presso il segretario generale delle Nazioni Unite, per sollecitarne ogni possibile intervento inteso a porre fine a misure repressive ed assicurare la protezione degli stranieri residenti nel paese.
Il segretario generale ha assicurato di aver preso contatto con la giunta militare per consentire l’esodo del personale dell’ambasciata cubana ed evitare che i rifugiati politici vengano estradati verso i paesi di origine. I1 segretario generale ha affermato di avere ottenuto affidamenti soddisfacenti da parte della giunta, presso+la quale continuerà ad esercitare la sua influenza.
Le dichiarazioni di ieri del ministro degli esteri cileno secondo le quali il governo di Santiago intende rispettare gli accordi inter- nazionali riguardanti i rifugiati stranieri residenti nel Cile, sembrano rispondere a tale iniziativa.
Per quanto riguarda il ritorno alla normalità costituzionale, nel rispetto dei diritti dell’uomo, le Nazioni Unite, secondo l’opinione degli organi responsabili, dovranno con ogni probabilità attenersi ad un atteggiamento di cautela, conforme ad una prassi costante, trattandosi di questioni che, a differenza della protezione degli stranieri, rientrano nella politica interna di un paese. Il segretario generale prevede per altro che tale problema sarà sollevato nella sessione in corso dell’Assemblea generale.
Il problema cileno ha avuto già alcuni riflessi nelle Nazioni Unite. Il Consiglio di sicurezza è stato convocato su richiesta di Cuba, il cui ministro degli esteri ha denunciato attacchi compiuti da forze armate cilene contro la sede dell’ambasciata a Santiago e navi cubane, oltre che gli arresti di cittadini di Cuba in Cile. Egli ha definito tali atti come una violazione del principio dello statuto delle Niazioni Unite, tale da rappresentare un pericolo per la pace e la sicurezza internazionale e da giustificare pertanto un intervento del Consiglio di sicurezza ai sensi, degli articoli 34 e 35 dello statuto. Si è trattato, quindi, dell’esame di un aspetto particolare delle recenti drammatiche vicende cilene.
Nel dibattito che ne è seguito, le tesi di Cuba sono state oggetto di contrastanti valutazioni, essendo da taluni Stati contestata la competenza del Consiglio di sicurezza in questa circostanza. Il presidente di turno, iugosìavo, ha aggiornato pertanto sine die i lavori del Consiglio dichiarando ,che sarebbe rimasto a disposizione per eventuali consultazioni.
Non si può certamente non rilevare che, a parte il ricorso al Consiglio di sicurezza, determinato non dal colpo di Stato ma dalla denuncia del governo di Cuba, gli organi e le procedure delle Nazioni Unite non sembrano offrire possibilità di significative iniziative. L’articolo 2, paragrafo 7, della Carta di San Francisco esclude infatti la possibilità di qualsiasi intervento in questioni che appartengano essenzialmente alla competenza interna di uno Stato. In questa una norma limitativa difficile da rimuovere, tenuto anche conto degli interessi in gioco di paesi grandi e piccoli. E tuttavia si deve dire che questa incompetenza dell’ONU, indiscutibile nella lettera dello statuto societario, è in contrasto, quando siano veramente in gioco i diritti umani, con l’evoluzione della coscienza del mondo, e che su questo punto, come su altri, dovrà esercitarsi la pressione dell’opinione pubblica internazionale, anche se il mutamento è tutt’altro che facile ,e vicino. In ogni caso, nel dibattito dell’Assemblea generale dell’ONU il rappresentante italiano esprimerà le nostre valutazioni e i nostri sentimenti.
Si è ,anche convenuto che la crisi cilena e i suoi riflessi formino oggetto di esame congiunto da parte dei nove governi, della, Comunità. Scambi di vedute comunitarie hanno avuto luogo a Santiago stessa e saranno ripresi in ogni sede appropriata.
Abbiamo confrontato e confronteremo le nostre valutazioni come le nostre possibilità di azione. Per quanto riguarda il mantenimento delle relazioni diplomatiche, vi sono state però decisioni unilaterali. Così, nell’ambito dei paesi della Comunità, Francia, Inghilterra, Germania e Danimarca hanno già deliberato in tal senso. Abbiamo appreso invece che l’Unione Sovietica, la Repubblica democratica tedesca, la Bulgaria e la Cecoslovacchia hanno rotto i rapporti diplomatici, in presenza - è stato detto - di uno stato di cose che non consentiva a quelle rappresentanze di assolvere i loro compiti e rendeva insicuri i cittadini di quei paesi. Da parte della Francia si fa valere il principio secondo il quale sono riconosciuti gli Stati e non i governi che di volta in volta sono chiamati a reggerli e si sottolinea che il contatto diplomatico, utile per la tutela di interessi ed anche per favorire l’evoluzione democratica o comunque l’attenuazione del rigore della repressione, non significa in alcun modo approvazione del metodo della violenza e accettazione del fatto compiuto. Analoga posizione, ispirata al principio secondo cui le relazioni internazionali intercorrono non tra governi ma tra paesi e popoli, è stata espressa dal cancelliere austriaco Kreisky nell’annunciare che l’Austria non romperà i rapporti diplomatici con il Cile. Per quanto ci riguarda, stiamo esaminando con scrupolo la situazione tenendo conto in particolar modo della collettività italiana in Cile.
Per l’Italia, che pone i principi di libertà a base del proprio ordinamento, la caduta di un governo costituzionale e fondato sul consenso popolare è motivo di profondo rammarico e di viva preoccupazione. Lo è tanto più nel caso del Cile, dove esisteva una salda struttura democratica che è stata purtroppo sconvolta. Nel panorama del tormentato continente latino-americano, a noi così vicino ed amico, vi è un’altra area di turbamento e di tensione.
Non è compito del Governo valutare gli avvenimenti susseguitisi prima del colpo di Stato. Questo è il contenuto del dibattito politico proprio dei partiti, ai quali pure spetta di trarre la lezione che viene dai fatti dolorosi del Cile. Posso solo dire che le difficolta riscontrate nella economia e nella stessa organizzazione sociale del Cile, le cui manifestazioni hanno angosciosamente scandito il tempo soprattutto negli ultimi mesi, non possono essere richiamate per giustificare l’iniziativa militare. Se vi erano, come vi erano, dei problemi da risolvere, era la politica che doveva provvedervi con strumenti di consenso, non la forza dei militari con strumenti di sopraffazione.
Certo, non è questo il primo caso, specie nell’America Latina. Ma, a parte il modo con cui l’azione è stata svolta, non possiamo non dire che proprio a questo punto dell’evoluzione sociale, proprio nell’attuale contesto storico, un nuovo colpo di Stato, questo colpo di Stato è molto grave e reca con sé sinistri presagi. Qual è infatti il senso dello sviluppo storico, del quale siamo in qualche misura protagonisti, se non il portare nell’alveo della democrazia la rivendicazione sociale del nostro tempo, di rendere attuabile il consenso e con la forza della legge e delle istituzioni le richieste di giustizia e di partecipazione? Nostro compito in questa epoca è trovare nella democrazia un’alternativa alla rivoluzione e far sì che la democrazia non sia un alibi per la stagnazione sociale. Questo è vero dovunque e lo è in particolare nell’America Latina. Mentre si vorrebbe accrescere la fiducia nella pacifica evoluzione degli ordinamenti sociali, si vede che questa politica delle istituzioni può essere brutalmente soffocata. Si paga dunque non solo un alto costo umano, ma anche una politica non meno rilevante. Ne saranno avvantaggiate le forze della rivoluzione armata con il seguito inevitabile di instabilità politica e di drammatici turbamenti sociali. È questa più larga prospettiva che rende più forte il rammarico e più grande la preoccupazione. E poi, in definitiva, sono la stabilità politica ed il giusto assetto sociale che garantiscono la pace. Dovunque esse vengano meno, dovunque la società sia inquieta ed inappagata, lo stesso pacifico ordine internazionale è in discussione.
Onorevoli deputati, le nostre possibilità sono certo assai limitate, ma vi assicuro che sarà fatto dal Governo italiano tutto quello che valga a riaffermare i principi della democrazia, a difendere i diritti umani, a favorire il ritorno del Cile alla concordia nella libertà. (Vivi applausi al centro e a sinistra)